10 anni di Synesthesia. Parliamo di sostenibilità con Emilio Casalini [agosto 2021]

Intervista

6 Agosto 2021

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Versione breve 45
Emilio Casalini

Oggi parleremo di sostenibilità con un ospite davvero poliedrico. È stato un giornalista d’inchiesta, vincitore del Premio Ilaria Alpi nel 2012, è oggi un progettista culturale, un conduttore televisivo e radiofonico, un narratore, uno scrittore. È con noi Emilio Casalini.

Conduce l’intervista Francesco Ronchi, President & Founder di Synesthesia.

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[Guarda la versione completa dell’intervista – 35 min]

Emilio, nel tuo sito web parli di te come scrittore, narratore e giornalista. Forse sono tanti lati di una stessa medaglia? Cosa ti occupa di più in questo momento? 

“La mia vita e la mia esperienza sono una declinazione continua e credo che sia proprio il segno dei tempi. Una volta avevamo lavori molto fissi per cui eravamo preparati fin da piccoli e li portavamo avanti fino alla fine. Oggi non solo siamo nell’epoca della singularity dove tutto cambia velocemente, ma siamo anche noi stessi a cambiare. Io continuo a “evolvermi” molto velocemente, assecondando quello che succede intorno a me. 

Mi occupo di valorizzazione della bellezza e di strumenti di narrazione dell’identità. Sono consulente per i territori, con l’obiettivo di andare alla ricerca dei modi migliori per raccontare un’identità, perché quando hai qualcosa che ha valore, devi conoscerlo e raccontarlo prima a chi vive in quel luogo e poi offrirlo anche agli altri. Questa è narrazione, è un racconto di quello che sei e del valore che hai. Serve per creare un valore aggiunto, lavoro e benessere. 

Mi sto poi occupando anche di una cooperativa di comunità a Sciacca, in provincia di Agrigento, dove sono il direttore creativo di un progetto che si chiama “Museo diffuso dei cinque sensi”. Sciacca è una cittadina di 40.000 abitanti, con un centro storico molto carino, ma poco valorizzato. La comunità locale ha deciso insieme di raccontarsi e di organizzarsi per accogliere un turismo di qualità. L’obiettivo è creare una forma di accoglienza “famigliare” e in amicizia con persone con cui condividere la propria identità. È un progetto molto grande, che sta crescendo. 

Mi occupo, inoltre, di un programma televisivo che è andato in onda nel 2019 con 5 puntate che si chiama “Generazione bellezza” su Rai Tre. È andato molto bene, ci siamo poi bloccati per il Covid, ma adesso riprenderemo a girare e andremo in onda a dicembre”. 

Effettivamente è tutto connesso e il filo conduttore è molto chiaro: la bellezza e la sostenibilità legate a questo progetto turistico. Mi viene in mente quella frase di Peppino Impastato che diceva: “Se insegnassimo alla gente la bellezza, gli daremmo un antidoto all’omertà, alla depressione”, a tutta una serie di condizioni negative. Perché è importante raccontare la bellezza? Si può insegnare la bellezza alle persone?

“La frase di Peppino Impastato porta a un tema che è quello della consapevolezza: non riuscirai mai a convincere qualcuno davvero dell’importanza della sostenibilità finchè non ne capisce il valore. Puoi imporgli quello che vuoi, ma finchè non lo capisce, il sacchetto della spazzatura, per esempio, lo butterà sempre fuori, sulla strada. Finché non c’è uno switch mentale, è inutile imporre un concetto con la forza o con multe e sanzioni. Tutto diventa diverso quando capisci il valore delle cose.

La bellezza è una specie di paradigma che mette insieme tutto. Parlo di un modo di essere belli non esteticamente, ma soprattutto dentro. È un modo di migliorare il nostro sistema di vita. È un modo di considerare tutto quello che ci circonda come un valore: dall’ambiente alle risorse materiali e immateriali. Nel momento in cui capisci il valore di questo contesto generale, di conseguenza aumenti la consapevolezza che porta poi all’azione. E quindi tu stesso diventi un autore. 

Ecco perché è così importante la narrazione della bellezza secondo me. Per fare un esempio pratico pensiamo a quando gli italiani viaggiano all’estero e dicono “guarda questi che non hanno niente cosa hanno combinato, che bravi che sono a raccontarlo. Pensa noi cosa potremmo fare…”Perché non lo facciamo?”. Allora ecco il mio ruolo oggi è questo: “rispondiamo alla domanda”. Non lo facciamo perchè siamo viziati e siamo un popolo circondato dalla bellezza, quindi essa va da sé. Noi non dobbiamo sforzarci per trovarla, è tutto troppo facile. È come se vivessi accanto a un albero che dà frutti buonissimi. Allunghi la mano e mangi. Perchè devi impegnarti a fare qualcosa? Noi siamo più o meno sulla stessa linea, andiamo avanti per inerzia, ma oggi questo “accontentarsi” non basta più.

La narrazione della bellezza è la presa di consapevolezza del valore di quello che siamo, del patrimonio materiale e immateriale creato dall’uomo, del patrimonio naturale che non abbiamo fatto noi. Prendiamo consapevolezza di noi stessi, delle nostre skills, dei nostri talenti. Mettere insieme questi “saperi” e trasformarli in azione è la realizzazione della bellezza”.

Quindi la bellezza va narrata ancora di più rispetto al semplice mostrare i momenti in cui questa rischia di essere rovinata o denunciare situazioni di pericolo. Occorre far innamorare le persone di questa bellezza?

“Io ho lavorato per tantissimi anni con “Report”, un programma straordinario di denuncia. Dopo questo primo step di denuncia, però, deve esserci anche una fase di costruzione. Nel mio nuovo programma voglio raccontare “quelli che fanno”. Tutti diciamo sempre: “bisogna fare questo e quest’altro” poi però a muoversi davvero sono in pochi.

Per secoli, quando lavoravi, o puntavi al mero guadagno di denaro o agivi per il solo scopo di fare del bene. Le due cose raramente andavano bene insieme. Oggi invece sono stati realizzati tantissimi progetti ed è cresciuta la consapevolezza delle aziende dell’importanza di assumere un ruolo “morale” perché tutti facciamo parte sempre di più di una connessione globale.

Oggi, dunque, devi ragionare in termini di comunità. Se tu ti senti connesso con gli altri, inizi a lavorare meglio per te stesso e per gli altri. Quello che stiamo facendo a Sciacca è qualcosa di concreto. Faccio un esempio: siamo un territorio che ragiona per turismo. Il turismo è una straordinaria opportunità a livello aziendale perché protegge il territorio, deve preservarlo il meglio possibile, è un’economia diffusa e tendenzialmente antimafia, è contro le organizzazioni criminali collettive perché è capillare, difficile da controllare, pieno di iniziative veloci, di soldi che arrivano e sono subito reinvestiti.

La pandemia ha acceso la luce su un tessuto davvero debole e inefficiente. Abbiamo una “coperta piena di buchi”. I borghi, per esempio, sono il futuro ma devi imparare a strutturarli.

Se non c’è narrazione, se non c’è comunicazione, non ci sono infrastrutture, non c’è accoglienza, è molto difficile attrarre turisti e visitatori. Noi a Sciacca stiamo lavorando per un centro storico che è molto bello, considerato come un museo a cielo aperto, circondato, però, dalle tante “montagne di cemento” che contraddistinguono le nostra città.

Abbiamo radunato ceramisti e corallari per offrire un turismo esperienziale: vieni con noi e realizzi il tuo gioiello, imparando l’arte del corallo. Il corallo di Sciacca, inoltre, è integralmente sostenibile perché è fossile. Le strutture ricettive lavorano in gruppo, collettivamente. Abbiamo creato chat ad hoc dove ciascuno scrive le prenotazioni che ha e se non ha posto per tutti i clienti chiede aiuto agli altri albergatori. La comunità che si muove insieme così ci guadagna, potendo ospitare sempre più persone e in modo sempre più accogliente e di alta qualità.

I ristoratori raccontano il territorio e raccontano i contadini: le arance che assaggi a colazione, le possiamo spedire, per esempio, fino a Londra per tutto l’anno. 

Questo meccanismo complessivo, anche in periodi di crisi come quello attuale, ti fa sentire parte di una comunità coesa. Per rispondere, quindi, alla tua domanda: la bellezza è la nostra identità. È tutto quello che siamo noi e abbiamo il dovere di proteggerla, facendola diventare qualcosa di concreto. Per me, il concetto di comunità in questo momento è estremamente moderno, lontano da qualsiasi stereotipo del passato ed è cooperazione, gestione della complessità: hai tanti soggetti diversi in gioco. 

Oggi, quindi, l’impresa sociale è gestione della complessità”.

Mi vengono in mente altri progetti che negli anni passati sono stati fatti, per esempio negli anni ‘70 erano nate comunità attorno ai borghi che poi però nel tempo si sono un po’ perse. Avete già pensato a un modello di sostenibilità ma anche di replicabilità, in altri posti d’Italia, di questa attività che state portando avanti a Sciacca? 

“Sì, è tutto pensato e concepito sia per essere ultra sostenibile, sia per essere totalmente scalabile. Abbiamo strutturato un percorso in quattro fasi fondato sulla comunità: awareness, engagement, empowerment e management. Le persone così diventano consapevoli innanzitutto del valore di quello che posseggono e che le circonda. È un percorso di comunità che si fa insieme: i singoli prendono consapevolezza di quello che hanno per poterlo condividere come comunità.  

Poi c’è una forma di empowerment per cui si riesce a capire cosa fare e con quali strumenti. Il percorso non è top-down, ma neanche bottom-up. È un percorso peer-to-peer, tra pari. Ti organizzi e ti procuri gli strumenti necessari e ovviamente ricevi competenza. All’artigiano che non ha mai fatto turismo esperienziale occorre spiegare come fare. 

Per questi motivi, abbiamo aperto 10 infopoint ospitati in 10 negozi (pub, locali, librerie) nel centro storico, che avranno a disposizione cartine geografiche e Google Nest Translator per poter dialogare in diverse lingue.

Poi c’è l’engagement: ti connetti agli altri e offri il tuo valore al mondo, imparando a gestire la complessità.

È un modello che passa innanzitutto attraverso il capire quanto è utile lavorare insieme in una concezione moderna, non di buonismo. Lavoriamo insieme perché serve a entrambi, siamo troppo fragili da soli. 

In questo percorso di lavoro insieme, dove sta la sostenibilità? Rientra in una sostenibilità ambientale: i dispenser dentro le strutture ricettive, per esempio, hanno consentito di ridurre l’utilizzo delle saponette e di trasformarlo in sapone liquido. I dispenser sono fatti dal ceramista di Sciacca secondo un modello disegnato dalla struttura ricettiva stessa. Il sapone è fatto in Sicilia con prodotti naturali che valorizzano il territorio. E quindi con un QR code, inquadrando il dispenser, puoi acquistarlo, avendo a disposizione il catalogo dei prodotti sulla piattaforma. 

Abbiamo realizzato un sito (www.museodiffusosciacca.it) che racconta quello che siamo e stiamo lavorando a una piattaforma, un marketplace, per creare anche un luogo dove tutta la comunità offre sé stessa e si racconta. Con il QR code quindi entri nella piattaforma e compri il dispenser, ma se vuoi puoi prenotare anche l’esperienza per andare tu stesso a disegnare il tuo dispenser.  Così hai creato connessioni sociali tra l’artigiano e la struttura ricettiva e hai creato un nuovo intreccio di comunità. In questo modo la sostenibilità non è più solo quanto risparmiamo di sapone o di imballaggi, ma è anche il percorso che facciamo per arrivare al prodotto e alla soluzione finale. 

Facciamo capire che ci guadagniamo tutti: il singolo risparmia, si alza il profilo qualitativo della struttura ricettiva, arrivano clienti che pagano di più perché sanno che ha valore quello che si sta offrendo. Tutto il percorso si estende poi agli altri. È una sostenibilità ambientale e anche economica, nel senso che stiamo creando un percorso che ha un futuro anche finanziario”. 

La sostenibilità ambientale non può prescindere da quella economica. Sono esattamente come dicevi tu prima: interconnesse. Una cosa sostenibile ha sempre comunque bisogno di un apporto dall’esterno. Il vostro modello mi pare molto interessante perché concilia tutti questi aspetti: la sostenibilità economica, il km 0, il rispetto per il territorio, la bellezza e la valorizzazione delle eccellenze locali. 

“Spesso sento dire “potremmo vivere della nostra bellezza”, ma poi questo accade solo in minima parte. Allora siccome io faccio inchieste, voglio capire perché c’è questo riscontro così piccolo nei fatti. 

Ho scritto il libretto “Rifondata sulla bellezza”, dove, dopo 4 anni di studio, ogni elemento è analizzato per capire cosa non funziona (la narrazione, i cartelli stradali sbagliati, i musei che hanno delle narrazioni “da psicopatici” con parole incomprensibili ed etichette microscopiche). 

Come fai a valorizzare un patrimonio culturale immenso come il nostro se poi l’unico strumento che utilizzi è un’etichetta illeggibile appiccicata su qualche muro qui e là? È impossibile. Ma per fortuna tutto questo sta cambiando. Mi è capitato un episodio emblematico: a Villa Adriano leggevo un cartello dove c’era scritto “questa bellissima sostruzione” e subito pensavo a un errore di battitura. Poi ho capito che l’ignorante ero io, perchè esiste la parola sostruzione, ma ho dovuto cercare su internet per capirlo.

Ma se sei il Paese con la più grande concentrazione di patrimonio culturale del mondo, dovrai lavorare su questo e risolvere simili problemi. Ecco la narrazione. Pensiamo alle nostre case. Perchè su AirBnB gli utenti/offerenti caricano foto brutte? Devi “vendere” la tua casa e fai una foto che nemmeno un bambino di tre anni con un telefono di media fascia farebbe così male. In realtà con una bella foto pubblicizzi meglio quello che hai. 

Allora inizi a tutelare la casa bella, poi capisci che la casa non è bella solo dentro ma anche fuori e allora cominci a preoccuparti anche della facciata. Magari se siete in tre interessati a valorizzare quella zona, allora i risultati si conseguono prima e meglio. È un circolo virtuoso e così cominciano a cambiare le cose”. 

Prima dicevi che stanno cambiando alcune cose: nei musei cominciano a esserci più temi come la gamification, cioè le logiche di gioco che conducono a interessarsi di qualcosa.  Come vedi la possibilità effettivamente di uscire da questo circolo vizioso in cui è stata l’Italia fino a oggi e cominciare a vivere davvero della nostra bellezza?

“Io sono ultra ottimista. Secondo me non poteva andarci meglio. Siamo i privilegiati del mondo. Per quello che hanno fatto i nostri antenati e quello che si è creato nel nostro paese, abbiamo una “strada in discesa” davanti a noi.

Non è merito nostro, abbiamo una biodiversità culturale che è unica”.

Non ce ne rendiamo conto. Questo accade forse solo quando andiamo fuori a visitare altri Paesi.

“Esatto. La cosa incredibile è che nel momento in cui iniziamo a trasformarlo in valorizzazione tutto cambia. Citavi prima la gamification. Nel film tu sei spettatore, nel videogame tu sei l’attore protagonista, non c’è più uno storytelling ma c’è uno story doing. Sei tu che agisci da protagonista. Allora la tua interpretazione di un luogo è nuova. Non è solo il gaming in quanto tale, ma è proprio l’approccio che sta dietro il gaming. L’obiettivo è coinvolgere lo spettatore, coinvolgerti. Guarda cosa ha fatto il direttore degli Uffici Schmidt, ha coinvolto una influencer, Chiara Ferragni, e se n’è parlato per settimane sui social e non solo. 

Quando è scoppiata la pandemia sono usciti dopo un paio di mesi siti di musei orgogliosi perché avevano messo online la visita virtuale. Ma solo nel 2020 si è arrivati a questo traguardo? Perché non lo hai fatto per dieci anni?

La pandemia è stata, quindi, una “botta” pazzesca che ha fatto saltare una quantità di calcificazioni “incrostate” nel vecchiume mentale diffuso. 

Io sono stra ottimista perché la nostra biodiversità culturale oltreché enogastronomica (del cibo, della gastronomia, della lingua, del patrimonio di questa identità diffusa)  è una ricchezza enorme. Tra quei paesini, uno accanto all’altro, dove noi pensiamo soprattutto alla rivalità hai la biodiversità e quindi in ogni luogo c’è qualcosa di nuovo.

Il sistema di Sciacca si può trasferire ovunque perché si fonda sulla  valorizzazione dell’identità, qualunque essa sia. Noi non abbiamo tante cose belle che costituiscono la nostra identità e questo riguarda ogni posto d’Italia. Valorizzare quello che abbiamo, offrirlo al mondo, mantenendo un controllo sulla sostenibilità. È un rapporto molto equilibrato.

Andiamo alla ricerca degli strumenti giusti per gestire la complessità: devi sapere quanti soggetti coinvolgere e come. La cosa bella è che quanto tu attivi tutti, trovi soluzioni e idee completamente imprevedibili.

Faccio un esempio: abbiamo attivato delle esperienze con un’attenzione particolare all’accessibilità. Abbiamo fatto un colloquio con Stefano Tortorici che è il responsabile dell’Unione Ciechi di Sciacca ed è non vedente. Una volta mentre chiacchieravamo, lui mi chiese “ma tu sai guidare la barca?” Io risposi:“no” e lui: “domani allora ti insegno”. Al mattino arrivo, mi copre gli occhi con delle bende e mi insegna a guidare. Come fa lui a guidare? Mi dice: “Emilio, portaci verso Sud Ovest”, ma io non sapevo orientarmi e lui mi dice: “Dov’è il Sole? E il vento? E le voci del porto?”. Mi aveva fatto scoprire tutti gli elementi per orientarmi.

E oggi noi abbiamo, tra le nostre esperienze, la blind sailing experience, (ne abbiamo in totale 54 di esperienze che offriamo ai nostri turisti) in cui si insegna a guidare alle persone senza vedere. È come se ti insegnassero a usare i super poteri: super udito, super sensibilità ed è una grande emozione.

Chi allora, facendo turismo esperienziale, avrebbe mai potuto anche solo pensare una cosa del genere? Ma in realtà quando apri a tutti quanti, saltano fuori persone come Stefano che si inventano queste idee geniali. È anche un gioco e ci stiamo divertendo un sacco”. 

Prima parlavamo di strumenti digitali, delle “nuove” tecnologie. Queste tecnologie, che poi sono quelle che noi come Synesthesia “dominiamo”, contribuiscono anche al supporto della sostenibilità? Vedi delle opportunità in questo? Come possono aiutare a emozionare e, nello storytelling, a trasmettere un messaggio in modo coinvolgente e diretto?

“Partiamo da Sciacca. Tutti realizzano molte piattaforme che poi riempiono di contenuti. Si fa il contenitore e poi si cercano i contenuti. Noi abbiamo fatto la scelta opposta e la nostra piattaforma è costruita sui nostri bisogni. Noi quindi non siamo concorrenziali con Booking o AirBnB.

Siamo unici perché raccontiamo il nostro territorio e diamo uno strumento per uscire nel mondo comprendendone il valore e la bellezza. In realtà stiamo connettendo le persone attraverso lo strumento digitale.

Il nostro percorso ha una potenzialità straordinaria, incalcolabile. Neanche la più grande corporazione del pianeta può avere le risorse per attivare tutto un territorio. Il territorio che si attiva, invece, connettendosi, sì. 

Allora immaginiamo la quantità di esperienze possibili per esempio sul cibo. Noi abbiamo tutte le strutture ricettive che usano cibo locale. Lo fanno assaggiare e si trasformano così in “tester”. Allora tu assaggi l’arancia e poi ti chiedo “dove vivi? Nei sobborghi di Londra?”, allora alla sesta giornata di pioggia una cassetta di arance può tirare su il morale. C’è così una narrazione anche del territorio che diventa connessione e si esprime a livello digitale: prenoti le arance, l’olio, il miele, tutto quello che vuoi. 

Noi insegniamo a fare la pasta, ma partiamo dal contadino, ti insegniamo a fare la cassata ma partiamo dal pastore. Nel momento in cui hai tutto il territorio che si valorizza ed è iperconnesso, come fai a tenerlo insieme? Ti servono gli strumenti digitali. Anche qui in realtà c’è una dinamica di gaming perchè cominci a costruirti la tua vacanza attraverso una  pre experience di racconto che noi ti diamo e lì entrano in gioco le piattaforme gratuite. Abbiamo izi.Travel per i racconti dove puoi caricare i contenuti e diventa tutto interattivo. Noi siamo no-profit e i nostri guadagni vengono redistribuiti sul territorio.

Tutto questo costituisce la piattaforma digitale che valorizza il territorio stesso. Immagina questo modello che si realizza ovunque: per esempio nei 10 territori intorno a noi. Di colpo la stessa cosa non è concorrenziale, ma semplicemente si apre il bacino e hai un altri soggetti che offrono altri servizi dal karting, alle gite in kayak e molto altro.

Ecco che il digitale si trasforma in uno strumento per prendere consapevolezza del valore di quello che hai e per offrirlo al mondo fuori. 

Diventa così anche un mezzo straordinario per la gestione della complessità. Siamo tanti (abbiamo 54 protocolli di intesa firmati) e abbiamo coinvolto anche la sovraintendenza ai beni culturali che ha firmato un protocollo con noi. 

Quando arrivano fondi da un piccolo bando noi attiviamo gli artigiani e la soprintendenza arriva velocemente e decidiamo subito cosa fare: questa scalinata la rivestiamo in ceramica ed è fatto. Ci si mette molto meno tempo, tutti sono soddisfatti e una parte della città  è migliorata. Questa è la sostenibilità del territorio. 

L’esempio che facevi prima di Peppino Impastato è quotidiano. Lui diceva: “se non riesci a spiegare il valore, a farlo capire e sentire, metteranno sempre solo due tendine per abbellire e si illuderanno di aver migliorato il tutto”. Quando inizi a vedere davvero la bellezza, ammiri una scalinata piena di maioliche e ceramiche fatte dai tuoi artigiani ed è bellissimo! Viene anche a te voglia di fare un foto, anche se è casa tua e prima non l’avresti mai fatta. 

Il digitale serve per tenere insieme tutti questi pezzi di comunità. 

Io ho dato il mio contributo, ma la cosa davvero bella è che c’è una comunità vera dietro le spalle, che sta crescendo e il contributo di tutti non è retorica, ma è fondamentale. Ci sono due ragazze, Anna e Desirè, due neolaureate di 24 anni in valorizzazione dei beni culturali, che sono le colonne del progetto. Stanno investendo tutto perché credono nella possibilità di vivere nel loro territorio e che questa valorizzazione collettiva darà degli stipendi.

Quando sarà a regime noi prenderemo come cooperativa di comunità una percentuale sulla vendita che non va a Booking.com o ad altro, ma rimane sul territorio e dà lavoro a chi ci vive. Alla testa di tutto questo poi c’è una donna, Viviana Rizzuto, che è tornata dopo 15 anni di carriera come program manager per multinazionali di tutto il mondo, USA, Giappone, Svizzera. Tornata in Sicilia, Viviana applica le sue competenze sul territorio. Ecco perché abbiamo bisogno delle competenze.

Allora questa magia che si sta creando è perchè si stanno attirando sempre più persone. Tu parti e poi la cooperativa di comunità nasce da Viviana che mette insieme le persone e pensa a come poter valorizzare l’identità collettiva.

È la bellezza di competenze che si aggregano e che trasformano tutto questo in valore reale, sostenibile ma anche di visione. 

Si vede l’entusiasmo e io mi sto divertendo molto. C’è una potenza anche emozionale dietro questo che smuove tutto. Per anni si sono combattuti tra ceramisti, per esempio, di località vicini. Io lavoro anche in Toscana e quando vai tra Pisa e Livorno la rivalità è fortissima. Invece quando si capisce il valore di questa dinamica, si vede che è una meraviglia quello che accade e le persone partecipano volentieri. Unisci così etico e utile, la competenza e gli approcci di un’azienda uniti ai valori di una famiglia.

Non facciamo i soldi per farli, ma dobbiamo avere quel confronto reale per funzionare bene. Tutte le nuove tecnologie combaciano con la creatività italiana e con la valorizzazione dell’identità. Ecco che questo diventa un progetto che ha molto da dire sulla sostenibilità e sul valore della bellezza”. 

Emilio, rimarrei delle ore ad ascoltarti e mi auguro che in futuro anche come Synesthesia, con il nostro team, potremo avere occasioni per collaborare a questo progetto. Un’ultima domanda. Questo ottimismo proiettiamolo nel futuro. Proviamo a immaginare il mondo che sarà fra 10 anni. Come vedi queste evoluzioni di cui abbiamo parlato in un futuro lontano? Prima hai citato la “singularity” che rende molto difficile guardare nel futuro in questo periodo storico, cosa ne pensi? 

“Io vedo un periodo veramente affascinante dove la conoscenza è uno strumento di valorizzazione di quello che siamo noi come persone e dell’identità.

È un’epoca in cui inventeremo continuamente ruoli, cambieremo. Non si tratta più di cercare un lavoro, ma di capire qual è il tuo ruolo in questo contesto, in quella rete incredibile di complessità.

I prossimi 10 anni serviranno sempre di più, secondo me, a riassettare il sistema in cui ci troviamo. Non abbiamo più nessuna certezza sul lavoro futuro. Oggi un ragazzino di 16 anni non sa nemmeno se ci sarà quel tipo di lavoro”.

Oggi molti ragazzi stanno facendo lavori che dieci anni fa neanche esistevano.

“Questo accadrà molto più velocemente ed è una grandissima opportunità perché se non hai riferimenti all’esterno, l’unico riferimento giusto sei tu. Oggi è l’epoca in cui essere sognatori è una garanzia di razionalità.

Io penso, quindi, che i prossimi dieci anni saranno straordinari soprattutto perchè siamo in Italia ed è incredibile il potenziale che abbiamo in termini di valore. Non parlo solo di turismo, ma anche di design, economia, bellezza. È tutto connesso in questo concetto di identità e di valore.

Io spero in decine, centinaia di “modelli Sciacca”, ovvero la comunità che si attiva e diventa un corpo coeso, competente e consapevole del proprio valore. Poi connettendosi come macro aree si crea un’offerta straordinaria e di valorizzazione non solo del territorio, ma anche di noi stessi. Io credo che sarà una corsa meravigliosa nel “diventare finalmente un cigno”. 

Grazie infinite Emilio, in bocca al lupo e a presto. 

Non hai tempo di vedere o di leggere? Nessun problema, c’è la versione podcast dell’intervista a Emilio Casalini!

Ascolta “Sostenibilità / Emilio Casalini [agosto 2021]” su Spreaker.

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