10 anni di Synesthesia. Parliamo di Disruptive Technologies con Bibop Gresta

Syn10anni

14 Ottobre 2021

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Versione breve 45
Bibop-Gresta

La parola chiave di questo mese è “Disruptive Technology”. Parleremo di questo e tanto altro ancora con un ospite eccezionale, una persona davvero eclettica. Stiamo parlando di “Bibop” Gresta, fondatore di Hyperloop Italia.

Conduce l’intervista Francesco Ronchi (President & Founder di Synesthesia).

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[Guarda la versione completa dell’intervista – 31 min]

Nella tua vita hai seguito tantissime strade. Sei imprenditore, hai co-fondato “Digital Magics”, ma hai anche lavorato in TV, hai avuto una band, una carriera davvero “disruptive”, ma sicuramente con un filo conduttore ben preciso. Qual è questo filo e come ti puoi definire oggi? Chi è oggi Bibop? 

“Al di là delle identità che secondo me non contano molto, nessuna etichetta e nessuna identità può definirci. Io credo che il filo conduttore, che ha “suonato” come un leitmotiv in background in tutta la mia vita, è stata la visione dell’uomo rinascimentale. Mi ha sempre colpito il fatto che Leonardo fosse uno scienziato, ma anche un artista. 

Non c’era una distinzione tra la figura di un artista e quella di uno scienziato. Lo scienziato inventava le soluzioni più innovative ma allo stesso tempo dipingeva, suonava… Era un tutt’uno. È così che abbiamo reso grande l’Italia nel mondo, grazie a questo concetto rinascimentale.

Poi sono arrivati elementi di influenza esterna per cui i due ambiti, scienza e arte, hanno preso direzioni diverse. Io ho iniziato come programmatore. Avevo 9 anni. Poi con i soldi che mettevo da parte compravo strumenti musicali, computer e così mi sono appassionato al mondo digitale, che per me comunque era costituito sempre da note musicali. Questo quindi mi ha accompagnato per tutta la vita. Ho fatto il mio primo disco. Sono arrivato in Europa con il mio gruppo, con la musica dance degli anni ‘90 ed è stato molto divertente.

Ho quindi dovuto lasciare il mio lavoro di programmatore perché abbiamo fatto 21 dischi, di cui 6 primi in classifica. Da lì è partita la mia passione per i media.

Ho fondato “Bibop” e l’ho venduta a Telecom Italia. Ho iniziato così la mia carriera con questa vendita per 11 miliardi delle vecchie Lire (4 milioni di Euro circa). Ho poi co-fondato “Digital magics” insieme a Enrico Gasperini.

Alcune delle startup che abbiamo fondato hanno avuto grande successo come, per esempio, “Talent garden”. Le prime exit in Italia le abbiamo fatte noi. Poi ho deciso che a un certo punto era il momento di andare in California perché il sogno della California è sempre stato il mio “pallino” e se non l’avessi fatto a 40 anni non lo avrei mai più fatto. È in quella situazione che è nata la scintilla con Elon Musk e il progetto Hyperloop. Siccome lui aveva detto che non lo voleva realizzare, io e il mio socio abbiamo deciso di farlo.

Il resto è storia. Abbiamo creato la più grande società di Hyperloop al mondo, abbiamo depositato il brand in 56 Paesi. Non tutti sanno che il marchio “Hyperloop” lo detengo io nella maggior parte dei Paesi.

Da lì è partito, lo scorso anno, il progetto italiano”.

Quindi il progetto italiano è più avanti rispetto a molti altri progetti nel mondo? Siamo tra i primi? Abbiamo qualche vantaggio?

“Con enorme sorpresa. L’Italia fa sempre questi slanci. Si chiamano “leapfrog”. È sempre indietro di tutti fino a quando non si trova davanti. È stato così in tanti ambiti: per quanto riguarda i cellulari, l’mp3, ecc.

Tutta una serie di settori sono stati innovati improvvisamente. Pensiamo anche ai computer con Olivetti, l’abbiamo creata noi la Silicon Valley

Una grande sorpresa c’è stata nel 2019 quando le delegazioni del Veneto e dell’ANAS mi vennero a trovare in California, dove ha sede la mia società, e volevano assolutamente parlare con me. Io avevo bandito qualsiasi rapporto con l’Italia, me ne ero un po’ distaccato per 14 anni.

La loro insistenza mi aveva molto colpito. Ricordo che mi illustrarono una cosa che io non sapevo: l’Italia nel dopoguerra sviluppò tutto il piano di ricostruzione con un approccio unico. Hanno previsto un corridoio “relitto” da 20 a 60 metri lungo tutte le autostrade e le ferrovie per un totale di 30.000 km e 10.000 km di parallelismo. Cioè 10.000 km di questo corridoio sono in parallelo con un’autostrada e una ferrovia contemporaneamente di fianco. Questa è una cosa pazzesca perché significa avere un corridoio naturale di 20 metri, quando a noi, per Hyperloop, al massimo ne servono 18. Sembra quasi fatto apposta. È come se al tempo si fosse intuito che sarebbe arrivato Hyperloop. 

Questo ha fatto accendere una lampadina e abbiamo dato il via ad alcuni workshop con ANAS e con Ugo Di Bernardo, direttore generale di ANAS, che con molta lungimiranza mi ha convinto a guardare all’Italia come possibile target in un momento particolarmente favorevole perché stavamo decidendo dove implementare la prima linea Hyperloop. Avevamo già costruito a Tolosa mezzo km di “certification track”, ma ci siamo resi subito conto che eravamo dentro un vecchio aeroporto militare bombardato dopo la guerra mondiale e tutto lo sminamento ci ha fatto capire che quella situazione non poteva essere ampliata. 

E quindi mentre ci stavamo guardando intorno una serie di governatori in Italia ci ha dato a disposizione del terreno per lavorare e implementare una linea Hyperloop in Italia”.

Possiamo sognare quindi di essere i primi in Italia ad avere una linea Hyperloop? 

“Per me volere è potere. Tra sognare e realizzare l’unica differenza è lo step. Cioè se riesci a immaginare ogni step necessario per arrivare a quel sogno vuol dire che è possibile e lo puoi realizzare. Noi oggi ce li siamo immaginati tutti.

Oggi stiamo lavorando a una cosa molto bella per l’Italia”.

Immagino che ci siamo state molte sfide difficili da risolvere proprio dal punto di vista tecnologico. “Hyperloop” è qualcosa di “disruptive” appunto, che non esisteva prima. Lo stesso Musk forse aveva sottovalutato alcune difficoltà tecniche…

“In realtà il discorso di Hyperloop non lo aveva fatto proprio Elon. È un concetto che arriva dal 1800. Il primo sistema Hyperloop è stato concepito sotto la metropolitana di New York nel 1889 da un imprenditore, Ely Beach, che concepì un treno a ridotta pressione sotto quella che sarà poi chiamata la metropolitana di New York tra Warren e Broadway. Non tutti sanno che 1 km della prima metropolitana di NYC era Hyperloop. Lui ha creato per 7 anni, illegalmente, sotto Broadway, questo tunnel dove ha posizionato una carrozza funzionante. Lo comprò poi JP Morgan e costruì la metropolitana di NYC. 

Il concetto di Hyperloop fu tentato più volte. Anche il padre della Rocket Science Robert Goddard, nel 1904 pubblicò un brevetto su “Popular mechanics”, la “bibbia” delle invenzioni mondiali. Lui dimostrò come si poteva collegare New York a Los Angeles in meno di due ore con questo vactrain sotterraneo.

La comunità scientifica si schierò contro, affermando che l’uomo non poteva viaggiare sopra i 100 km/h. Il progetto venne quindi abbandonato. E così oggi abbiamo i missili che vanno su Marte ma non abbiamo ancora Hyperloop.

Più di una volta, quindi, questo concetto fu studiato. Il gravity vacuum e il vactrain erano molto simili a Hyperloop. Quando Elon pubblica il “White paper” realizzato da due suoi stagisti (uno dei due lo abbiamo poi assunto noi), non ha inventato niente di nuovo, ha solo dato l’input per guardare oltre a un modello efficiente, sostenibile ed economicamente realizzabile. Ci ha dato così l’opportunità di puntare un gigantesco riflettore su questa tecnologia e permetterci di lanciare Hyperloop nel mondo. Da lì, poi, più di 800 scienziati si sono uniti alla nostra società da 52 Paesi, creando uno dei più grandi progetti di crowdsourcing al mondo”. 

La dimostrazione che volere è potere. Risolvere cose credute infattibili semplicemente perché nessuno è riuscito prima, le rende fattibili. Qual è la cosa più difficile che avete dovuto risolvere? Qual è stato l’ostacolo più grande? 

“Dal punto di vista tecnico devo dire che tantissime delle tecnologie che abbiamo utilizzato (la maggior parte) erano già state inventate. In realtà la cosa straordinaria che abbiamo fatto è stato proprio questo nuovo modo di costruire l’azienda. È facile parlare otto anni dopo, quando sono stati fatti due case study a Harvard e si insegna proprio lì il nostro modello. Alcuni grandi temi di oggi come housing, food, energy sono approcciati proprio attraverso questo nostro nuovo modello di azienda.

Ma immaginiamo di essere nel 2013 quando ancora non si parlava di crowdfunding, dove l’intuizione è stata quella di dare a chiunque volesse contribuire stock dell’azienda in cambio di ore di lavoro. Questa cosa ci ha permesso da subito di avere grandi aziende come Leybold, inventore delle pompe a vacuo, che è subito intervenuta proponendo le sue soluzioni già in uso (come l’hadron collider del CERN), alcune utilizzate in ambiti dove si raggiunge la pressione di dieci alla meno dieci, mentre noi ci fermavamo a dieci alla meno tre (1 pascal). Loro potevano garantire sistemi in grado di funzionare a questo tipo di pressioni e anche di più.

Un’altra tecnologia di cui si parlava era quella della levitazione magnetica, consistente nello spingere l’aria sotto la capsula. Ma in un tubo a ridotta pressione questa soluzione provocava degli “air flow”, creando così instabilità sia sul tubo sia sulla stessa capsula e non era quindi fattibile. Il professor Richard Post, scienziato che ha lavorato nel laboratorio Lawrence Livermore National Lab di Einstein, ora in pensione, ci ha scritto dicendo: “negli anni ‘90 ho sviluppato un sistema di levitazione passiva che poi è stato secretato e attualmente è utilizzato dal governo americano per stabilizzare i proiettili dentro i cannoni. A voi serve la stessa cosa: un sistema che all’aumentare della velocità, generi levitazione in maniera passiva”.

Ci ha mostrato questo sistema. Aveva 2 km già sviluppati a San Diego, alla General Atomics, dove c’era un track in disuso che aveva già dimostrato di funzionare con un peso di 80 tonnellate e noi non abbiamo fatto altro che ammirare questo prototipo che si muoveva avanti e indietro perfettamente.

Tutti i brevetti che abbiamo acquisito sono stati presi grazie alla segnalazione e al lavoro di questi scienziati in giro per il mondo.

Abbiamo avuto scienziati come l’inventore della missione Apollo della NASA, provenienti dal MIT, da Stanford, ecc..”.

È veramente una cosa bellissima il fatto che siate riusciti a coinvolgere le migliori menti dell’Umanità in una modalità completamente interdisciplinare, mettendo insieme competenze di mondi completamente differenti. Questo dimostra come l’umanità possa fare cose meravigliose semplicemente decidendo di lavorare a un progetto comune. L’interdisciplinarietà mi riporta a quello che dicevi tu all’inizio: la tecnologia e tutte le scienze sono spesso accompagnate dalla creatività. Non c’è solo la competenza dell’ingegnere che fa il suo lavoro, ma spesso c’è anche una grande creatività. Sarebbe bello riunire proprio questi aspetti. Noi in Synesthesia abbiamo un’iniziativa, “FuturMakers”, costituita da corsi di tecnologia STEM a cui abbiamo aggiunto anche la “A” di arte, facendoli diventare così STE(A)M. Puntiamo tanto a stimolare la creatività artistica dei ragazzi che seguono i nostri corsi perché l’interdisciplinarietà e la diversity sono gli ingredienti che fanno emergere poi le potenzialità umane migliori. 

“È fondamentale quello che stai dicendo. Noi dobbiamo partire dalle scuole, dalle università. Quando parlo di “nuovo Rinascimento” o di quarta rivoluzione industriale non è un claim, ma bisogna pensare proprio a un nuovo uomo. Sono temi sviluppati a livello mondiale e trattati in maniera molto seria anche da grandi aziende come Unilever, P&G. 

Stiamo passando da homo sapiens a homo “evolutus”, dove la differenza sta proprio nella capacità di “aumentarci” tramite il knowledge, ma anche tramite i device. Pensiamo anche a quello che sta facendo Elon, l’idea di “iniettare” chip nel cervello (Neuralink), che spaventa molto il pubblico. Io credo che la tecnologia ci aumenterà, ma lo deve fare in maniera funzionale all’uomo. Quando noi parliamo di riformare la scuola, dobbiamo partire proprio da questo. 

Mi piace il tuo concetto di STE(A)M che ti ruberò subito perché è proprio quello che sto cercando di realizzare con “L’oasi della quarta rivoluzione industriale”: un progetto che stiamo per presentare proprio per ripartire dalle scuole. 

Oggi se devo cercare un “ingegnere Hyperloop” non esiste, lo devo formare io e lo devo fare in un modo completamente nuovo. Sono molto contento, quindi, che un’azienda come la vostra stia guardando e capendo questi concetti. Bravissimi”. 

Una curiosità: Elon Musk più volte è entrato nel nostro discorso, ma che tipo è? È davvero questo “genio folle” che viene descritto? 

“Io ho una stima enorme per lui e non saremmo partiti con questo progetto se non fosse stato per lui e per il suo input iniziale.

Ci sono milioni di “Elon Musk” in giro per il mondo che stanno solo aspettando di avere la loro occasione. Io credo che in Italia dobbiamo cercare di avere questi modelli e abbiamo un bisogno fondamentale di questi modelli. Quindi ben venga Elon, ma anche il suo estro e la sua “discontinuità”. 

Oggi le nuove generazioni iniziano ad avere dei modelli che sono i nuovi imprenditori. Bisogna, quindi, avere tanto rispetto di Elon e apprezzare quello che sta facendo: ci sta portando su Marte e lo sta facendo in una maniera spettacolare. Io, nel mio piccolo, per ora sono rimasto “a Terra”. Partiamo dalla Terra. Io sono un “presentista” non sono un “futurista””. 

Bisogna seminare oggi per il futuro. Io sono molto d’accordo con te sul fatto che le nuove generazioni sono anche migliori di quelle presenti e passate. Hanno una marcia in più. Vedo proprio una coscienza rispetto al mondo e all’ambiente che noi non abbiamo più. Questo mi rende molto ottimista rispetto al futuro. Purtroppo quello che stiamo lasciando è un mondo che ha un sacco di problemi, ma loro per fortuna hanno la volontà e forse anche i mezzi per cambiare.

“Noi abbiamo il dovere di essere ottimisti. Basta con queste “etiche della crisi”, che poi loro non sanno neanche cosa voglia dire crisi. Vuol dire rinascita. Io sono un fanatico delle persone “che fanno” invece di lamentarsi e basta. I giovani non possono non essere ottimisti.

Hanno un libro bianco da scrivere, hanno possibilità che noi non avevamo. Noi cercavamo le informazioni, loro le devono solo filtrare, selezionare.

Hanno lo scibile umano a disposizione e non hanno più scuse. Non c’è una possibilità di non avere successo perché con l’accesso all’informazione non ci sono limiti. Magari sbagli, una, due, tre volte, ma non importa, si va avanti.

Io sono un entusiasta del momento e secondo me la pandemia ci ha anche riportato un po’ “con i piedi per terra”. È stata una grande batosta però è stata anche una grande “doccia di realismo” per rimetterci davanti a noi stessi e spero che le persone si stiano chiedendo: ma sto facendo ciò che mi piace? Sto facendo il lavoro giusto? Sto pensando a me?

Secondo me questo periodo ci deve servire proprio a ri-bilanciarci e far ri-iniziare la voglia di fare”. 

Sono pienamente d’accordo con te. Bibop, lasciamoci con un’ultima domanda. Tu prima hai detto che sei un “presentista” ma se dovessi pensare al mondo tra 10 anni, cosa vedi? Come te lo immagini? 

Non potrà che essere migliore di oggi. Abbiamo tecnologie che stanno “spaccando” tutto, stanno arrivando a toccare i centri nevralgici dell’essere umano. Tutti gli “-ismi” che abbiamo costruito (capitalismo, socialismo, comunismo,…) scompariranno sotto i colpi inesorabili del progresso. Il progresso dice, per esempio, che dovremmo lavorare di meno e tornare a quello che ci riesce meglio. Magari lavoreremo solo una, due, tre ore ma faremo tanto altro. 

Torneremo a vivere, torneremo ad amare in maniera libera, con le nostre famiglie. Io credo che l’umanità sia di fronte a uno dei suoi momenti più belli perché la tecnologia ci permetterà di non lavorare più, perchè non ci sarà un lavoro. I computer ci prenderanno tutti i lavori principali

Ci servirà cambiare proprio anche tutte le regole.

“Il concetto di economia, concepito sulla scarsità, implica che a un certo punto sarà tutto in mano allo 0,5% della popolazione e tutto il resto è tralasciato. Quindi qualcuno si deve porre il problema che forse c’è qualcosa che non funziona in questo modello.

Troveremo, spero, un “-ismo” nuovo, a misura d’uomo, dove ci sarà finalmente un equilibrio tra l’empatia e l’amore che dovremmo avere e su cui dovremmo impostare tutta la nostra società, se no ci autodistruggiamo. Quello che Elon, infatti, sta cercando di fare è conquistare Marte perché così se sulla Terra non ce la facciamo, su Marte magari resistiamo come “specie multi planetaria”.

Ma al di là di questo, io credo che queste nuove generazioni ci consentiranno di non autodistruggerci e di trovare nuove soluzioni sempre migliori.

È stato veramente un piacere e ti ringrazio tantissimo per le parole e le idee condivise. 

“Grazie a voi”

Non hai tempo di vedere o di leggere? Nessun problema, c’è la versione podcast dell’intervista a Bibop Gresta!

Ascolta “Disruptive Technology / Bibop Gresta [Ottobre 2021]” su Spreaker.

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