10 anni di Synesthesia con Paola Allamano. Parliamo di “Disruptive Technology” [Ott. 2021]

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4 Ottobre 2021

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Versione breve 45
Paola-Allamano

È possibile rappresentare i fenomeni atmosferici con un’immagine? Si possono sfruttare i circuiti di videosorveglianza stradale per fare previsione in questo ambito? La risposta è racchiusa nella parola chiave di questo mese: “Disruptive Technologies”, che abbiamo esplorato in compagnia di Paola Allamano, co-fondatrice e CEO di WaterView.

Conduce l’intervista Riccardo Recalchi (CEO di Synesthesia).

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[Guarda la versione completa dell’intervista – 26 min]

Paola Allamano, ingegnere per l’ambiente e per il territorio. Una passione che diventa professione. Cosa c’è all’origine di queste scelte? 

“La passione per l’ambiente nasce dalla mia infanzia, riempivo lo zaino di mio papà di pietre da esaminare una volta a casa. Ce l’avevo nel sangue e diventare ingegnere per l’ambiente e il territorio è stata una scelta naturale. Trasformare poi tutto questo in una start up non è stato un passaggio del tutto consapevole, anzi, è stato abbastanza frutto del caso: lavoravo al Politecnico di Torino a un progetto nel contesto dell’ingegneria idraulica, che si occupava di studiare l’acqua sotto vari punti di vista, sia come elemento di pericolosità, sia come risorsa. Questa scienza si occupa di studiare i fenomeni alla base del ciclo dell’acqua per riuscire a gestirli con gli strumenti a disposizione. 

Nell’era della digitalizzazione conoscere un fenomeno con una precisione ridotta è un “collo di bottiglia” importante. Ho provato quindi a immaginarmela in maniera diversa. Di notte mi chiedevo se potesse essere una buona idea cercare di rappresentare i fenomeni atmosferici (che sono l’input di quello che avviene sulla Terra) in un modo del tutto diverso.  

Mi è venuta così l’idea di misurarli e conoscerli attraverso un’immagine, al posto di utilizzare la strumentazione tradizionale.

Ho pensato “chissà se con una fotografia, un video, un’immagine si può effettivamente misurare e captare quello che sta accadendo”, così da avere molti più occhi sul fenomeno e saperlo riconoscere in tempo reale? Questo abbiamo fatto in Waterview. Abbiamo creato una soluzione software che usa strumenti di visione (come le telecamere di sorveglianza)  per rappresentare i fenomeni atmosferici. Così la stessa telecamera che controlla il traffico è in grado di capire se piove, nevica o se i fenomeni che si stanno verificando stanno impattando sul contesto videosorvegliato.  

Avere un punto di vista estremamente capillare su un fenomeno che può essere disruptive per l’infrastruttura, consente di prendere decisioni tempestive o di anticiparle”.

Quindi l’innovazione, ovviamente, oltre a utilizzare le immagini, utilizza anche degli strumenti impiegati per altro. Una sorta di economia circolare del dato, un vero progetto sostenibile. Tra l’altro leggevo che nelle immagini vengono rilevate le scie create dalle gocce di pioggia o dai fiocchi di neve che scendono.

“Sì, tutti sappiamo che la pioggia e la neve lasciano nell’immagine una striscia luminosa molto evidente (succede anche nelle foto che facciamo con il telefono). Queste scie sono quantificabili e le loro caratteristiche dipendono da come la telecamera sta acquisendo la fotografia in quel momento e dal fenomeno che sta osservando. I nostri algoritmi trasformano queste tracce in misure di intensità e severità dei fenomeni stessi attraverso un mix di computer vision e artificial intelligence. Successivamente si compone il quadro della situazione grazie alle varie telecamere. La singola telecamera è “un punto” che collabora in rete con tutte le altre. In questa connessione sta l’importanza di costruire un quadro complessivo sfruttando tutti i dispositivi”. Sulla base del quadro complessivo si può innescare la catena decisionale”.

Ormai questi fenomeni sono sempre più particolari, nel senso che all’interno di una città nello stesso momento si verificano fenomeni diversi a breve distanza. 

“Sicuramente. II fenomeno intenso è di per sé locale, perché la cella convettiva temporalesca è sempre molto concentrata nello spazio e nel tempo. Adesso, però, le intensità possono essere estremamente severe anche come conseguenza del cambiamento climatico. Le videocamere, quindi, diventano uno strumento importante perché sono molto diffuse e consentono di essere tempestivi nella reazione”

Nella reazione così come nella prevenzione e nell’analisi successiva, giusto?

“Non tanto nella prevenzione perché noi operiamo in “tempo reale. “Addestriamo” le telecamere che sono su grandi infrastrutture come le strade. Abbiamo realizzato un sistema di monitoraggio meteorologico per le strade pubbliche italiane e facciamo una sorta di previsione nello spazio: l’utente, avvicinandosi alla tratta interessata, sa in anticipo che tipo di fenomeno potrà verificarsi, oltre a fornire una storicizzazione del dato, per esempio, per sapere se l’asfalto sarà rovinato e quindi pianificare cicli di manutenzione”. 

Paola, tu arrivi dal mondo della ricerca accademica, fare un prodotto “disruptive” per la ricerca è un fattore essenziale. Che differenza c’è tra la ricerca accademica e quella che viene fatta nella tua start up, per poter raggiungere gli obiettivi che non sono solo “accademici” ma anche di business? 

“Io vengo dalla ricerca accademica, prima dottoranda, poi ricercatrice del Politecnico così come i miei soci fondatori. La ricerca accademica sicuramente è un elemento fondante di una start up che deve avere una tecnologia robusta, dei fondamenti importanti. Però, certamente la differenza tra la ricerca accademica e quella aziendale è abissale. Perché la ricerca accademica si può permettere anche “la ricerca del bello” e della soluzione che potrà essere portata a terra tra 20 anni. Quando poi si passa al mercato e a cercare di avere un fatturato bisogna fare ricerca con delle condizioni estremamente più stringenti perché dev’essere realizzabile. 

Noi oggi investiamo tantissimo nella ricerca e nello sviluppo, ma lo facciamo secondo l’esigenza del cliente, con le infrastrutture e i dispositivi che sono disponibili oggi. Lo facciamo anche in maniera market-driven, quindi lo si fa opportunisticamente andando nella direzione che il mercato richiede. La ricerca del bello, purtroppo, la si abbandona un po’ e si portano a terra le cose in un’altra maniera, che è molto divertente in realtà”. 

Dover portare avanti un’azienda è però mitigato dal fatto che l’argomento che trattate riguarda effettivamente la sostenibilità.

“Assolutamente sì, WaterView parla di sostenibilità, di ambiente. È una tecnologia che si colloca nell’ambito dell’adattamento al cambiamento climatico. Il termine “sviluppo sostenibile” può avere varie declinazioni: c’è chi mitiga, chi ottimizza l’uso delle risorse. Una variazione, un peggioramento delle condizioni ci sarà e noi siamo tra quelli che cercano di “parare i colpi”. Quindi , siamo tra quelle tecnologie che difendono e consentono una gestione controllata di questo cambiamento. In questo senso ci poniamo nell’ambito della sostenibilità. 

Lo sviluppo sostenibile consiste nel garantire una vita equa e un utilizzo giusto delle risorse alla nostra generazione e alle prossime. La nostra tecnologia vuole contribuire al  rispetto del cosidetto patto generazionale, cercando di ottimizzare l’uso delle infrastrutture e delle risorse. Inoltre le tecnologie creano posti di lavoro, creano aziende e anche questo va nella direzione di consentire una vita equa, giusta e sostenibile agli esseri umani, la sostenibilità è anche questo”

Tecnologia e innovazione sono proprio necessari per raggiungere questo tipo di approccio totale, quindi attenzione verso l’ambiente e la sostenibilità.

“La disruptive technology, o la tecnologia che cambia il paradigma, cerca di risolvere in modo totalmente nuovo un problema vecchio e da qui non si scampa, dobbiamo trovarla questa soluzione, per far sì che nei prossimi  50 o 100 anni non rovineremo il mondo in cui vivremo. L’Europa carbon neutral nel 2050 è un bell’obiettivo. Il mondo carbon neutral entro il 2050, anche con i Paesi in forte sviluppo, è un obiettivo enorme,che per essere raggiunto deve per forza passare da tecnologia e innovazione. È un must e dobbiamo in qualche modo realizzarlo, attraverso la tecnologia”

Paola rappresenti una donna in un ambiente, quello STEM, che è per la maggioranza rappresentato da uomini, anche nelle posizioni diciamo di “potere”. Tu sei una donna, CEO di una start up che sta funzionando e che ha ricevuto numerosi riconoscimenti, gli investitori hanno creduto in voi. Come vedi il ruolo delle donne nel contesto  STEM? 

“Sicuramente è un contesto molto maschile, ma credo che le donne abbiano molto da dare nelle imprese e nel mondo aziendale. 

Racconto sempre l’aneddoto della nostra presentazione al primo network di investitori che abbiamo avuto in Waterview. È successo che alle mie spalle è stata proiettata la presentazione sbagliata, così ho cominciato a frugare nella mia borsa (al tempo la mia bambina aveva 2 anni e all’interno della mia borsa c’era di tutto) e ho cominciato a tirare fuori qualunque cosa per trovare la chiavetta. La gestione di questo momento credo che sia servito per rompere il ghiaccio e sia stato alla fine uno degli elementi fondamentali del successo di quella serata.

Quello che ho dovuto superare da donna, e credo che sia una delle nostre più grosse maledizioni, è voler essere sempre “perfetta”. La ricerca della perfezione, l’incapacità di lasciare qualcosa imperfetto, è uno dei limiti delle donne. Un uomo si fa molti meno problemi. Invece noi no, dobbiamo sempre essere perfette. E nel mondo dell’impresa si dice “meglio fatto che perfetto”: rilascia quella cosa, falla funzionare all’80% e poi la migliorerai. Se le donne sapessero venire a patti con questa cosa secondo me sarebbero veramente le CEO ideali del prossimo futuro”. 

Un altro aspetto di cui si parla in questo periodo in maniera importante riguarda proprio la diversità e l’accettazione della diversità non solo di genere ma, in generale, culturale, religiosa. Pensi che anche all’interno delle aziende questa diversità possa essere fondamentale, anche nella creazione di un prodotto che diventa poi disruptive? 

“Assolutamente. L’approccio culturale diverso non può che arricchire l’oggetto finale che si crea. Waterview ovviamente è un’azienda ancora piccola e integra componenti diverse, anche se statisticamente la diversità all’interno non è così elevata perché si parla di un nucleo molto piccolo. Però ci definiamo una start up italo-turca perché su 8 persone 2 sono Turchi ed effettivamente anche il loro differente punto di vista, il modo di porsi di fronte a un cliente o di vedere lo sviluppo e le tempistiche scandite in maniera differente è sicuramente un valore per noi. Chiaramente poi crescendo si potranno integrare tante altre componenti, però avere due anime porta anche a essere autocritici in maniera più consapevole e sicuramente arricchente, è un valore da preservare”. 

Uno dei vostri obiettivi è anche l’internazionalizzazione, che ovviamente pone una serie di sfide culturali.

“Noi ci stiamo muovendo a livello europeo e stiamo cercando di gettare qualche amo verso la lontana Cina e lì davvero si parla di mediazione culturale. Ai tavoli non si parla solo di prodotti e tecnologia, ma di dinamiche comportamentali completamente diverse. Infatti ci facciamo aiutare da un mediatore culturale, perché non è solo questione di lingua ma è una cosa che richiede integrazione culturale. L’internalizzazione passa attraverso dei connettori che devono colmare questo gap, perché è complesso interloquire con il mondo partendo da qui”. 

Adesso ti faccio una domanda difficile: non abbiamo una sfera di cristallo ma vogliamo immaginarci come sarà il nostro futuro. Tu cosa vedi tra 10 anni nel mondo delle tecnologie emergenti, disruptive? Che cosa ci sarà secondo te?   

“Che bella domanda. Non ambisco a rispondere su tutta la tecnologia, ma le tecnologie nel contesto ambientale e della sostenibilità deve necessariamente e con urgenza rivolgersi agli obiettivi che ci siamo dati in termini di contrasto al cambiamento climatico e all’efficientamento energetico. Il tutto mirato a contenere il trend che stiamo vivendo e che porterebbe a uno scenario inaccettabile e invivibile, infrangendo il patto con i nostri figli di consegnargli un mondo accettabile. Quindi credo che la nostra parte la si debba fare in quel settore. 

Vedo tre grandi filoni per quanto riguarda questo settore: il filone dell’efficientamento energetico, che deve condurre a un utilizzo delle risorse del pianeta più ottimizzato; il filone delle tecnologie per la riduzione delle emissioni, che puntano alla carbon neutrality, cioè al pareggio delle emissioni. E, infine, il filone delle tecnologie come la nostra, che consentiranno ai nostri figli di convivere con un mondo leggermente cambiato. 

La tecnologia nel settore ambientale deve necessariamente trovare delle risposte rapide a queste sfide, consapevoli del fatto che tra 10, 20 o 30 anni sarà troppo tardi. Ci sarà un momento in cui questa cosa sarà irreversibile e il trend non sarà più controllabile.

Per cui credo che sia questa l’urgenza e che la tecnologia debba impegnarsi per contrastare questa grande ondata. L’abbiamo visto succedere con il Covid: la scienza si è messa all’opera e ha trovato delle risposte, bisogna fare altrettanto nel settore dell’ambiente e del clima”. 

Quindi passerà sicuramente attraverso questi canali il futuro?

“La mia visione è questa. Per avere un futuro anche nel resto si deve passare attraverso questa strettoia e si devono trovare le soluzioni e gli strumenti per consegnare un pianeta vivibile alle prossime generazioni”.

Grazie!

Non hai tempo di vedere o di leggere? Nessun problema, c’è la versione podcast dell’intervista a Paola Allamano!

Ascolta “Disruptive Technologies / Paola Allamano [Ottobre 2021]” su Spreaker.

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