10 anni di Synesthesia. Parliamo di mobile con Chet Haase [Sett. 2021]

Intervista

2 Settembre 2021

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Chet Haase

Che cosa significa oggi “think mobile”? Che cosa si deve fare per migliorare l’usabilità dei dispositivi per renderli maggiormente accessibili a tutti? Che cosa ci aspetta nei prossimi 10 anni? Lo abbiamo chiesto a Chet Haase, Chief Developer Advocate presso Google. Tanti sono i temi legati alla parola chiave di questo mese che abbiamo toccato in sua compagnia. Scoprili in questa intervista. Conduce l’intervista Lucy James, Event manager di Synesthesia.

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[Guarda la versione completa dell’intervista – 27 min]

Chet, Chief Developer Advocate per Google, com’è cambiato il tuo ruolo negli ultimi anni?

“Raduno un po’ le idee di questi quasi vent’anni di esperienza. Ho iniziato a parlare di tecnologia quando lavoravo per la precedente azienda, la Sun Microsystem. Ricordo che a un certo punto ho pensato “Hey questo è un lavoro davvero divertente: programmare con la tecnologia e poi parlare con gli sviluppatori su come funziona la tecnologia stessa”. Certamente ho visto un’evoluzione in questo settore. Non solo nell’ambito delle piattaforme su cui ho lavorato e nella tecnologia in sé, ma anche nel settore della “developer advocacy” e in generale dei software. Penso che il più grande cambiamento consista nel fatto che le sfide stanno diventando sempre più grandi e complicate. C’è molta più tecnologia in tutto, ci sono più piattaforme, ci sono più tipi di tecnologie. Quando ho iniziato il mio percorso professionale, il mobile o gli smartphone non esistevano. Si poteva forse intravedere la nascita di qualcosa, ma certamente non tutte le funzionalità che abbiamo oggi.

Una cosa, però, non è cambiata: credo fermamente che i developer advocate non siano solo persone che salgono sul palco o scrivono un articolo o parlano di questi argomenti. Questo è un plus, un piccolo dettaglio in più della professione. Il nostro vero lavoro consiste nell’essere ingegneri, nel comprendere a fondo le dinamiche di funzionamento della piattaforma che presenterai poi agli sviluppatori. Scrivi un codice, lo studi a fondo e poi esci e vai dalle persone per spiegare come funziona, cosa la piattaforma può fornire in risposta alle varie necessità.

Aggiungerei comunque che ci sono stati importanti cambiamenti nell’ultimo anno a causa di questa terribile situazione in cui ci troviamo tuttora. Per i developer advocate parte del lavoro consiste proprio nel viaggiare, incontrare gli sviluppatori di tutto il mondo a eventi come “droidcon Italy” e scoprire quali sono i temi “più caldi”, aiutando tutti a comprenderli meglio. Sono lati della professione che implicano, appunto, viaggiare, incontrare persone ed entrambi questi aspetti sono stati bloccati in modo pesante da ormai più di un anno. Tutto questo implica che siamo stati costretti a privilegiare nuovi incontri online come stiamo facendo anche adesso. È stato un cambiamento interessante: sempre più contenuti video, sempre più coinvolgimento online, conferenze online. Dall’altro lato, però, penso penso che non abbiamo ancora scoperto come raggiungere lo stesso livello di coinvolgimento che si ottiene negli eventi “di persona”. Abbiamo ancora un po’ di lavoro da fare”.

Sono pienamente d’accordo con te riguardo la situazione globale, ci sono stati molti cambiamenti nel settore della tecnologia. A parte il lavoro da remoto, in quale misura, secondo te, tutti questi cambiamenti hanno influito sul ruolo di uno sviluppatore?

“Le cose stanno diventando più diversificate, non necessariamente più complesse, ma ci sono più opportunità, più tecnologie, più strumenti da usare, più linguaggi, più approcci, più piattaforme sulle quali programmare. Per alcuni aspetti sta a noi comprendere molte di queste nuove possibilità per poter prendere decisioni su quale sia la cosa migliore da fare. Se torniamo indietro a venti o trenta anni fa, a quel tempo potevi concentrarti solo su una materia, studiarla a fondo, diventarne un esperto. Ecco io credo che questo oggi non rappresenti più un reale vantaggio perché quella cosa che hai studiato può cambiare come ogni aspetto della tecnologia che muta in modo incredibilmente veloce.

Tutto questo può spaventare un po’, ma francamente lo vedo come un vantaggio, dal momento che agli ingegneri piace giocare con le novità. Il fatto che ci siano sempre giochi nuovi nel settore ingegneristico è molto divertente. 

Occorre avere il giusto approccio mentale per dire “io ho davvero bisogno di uscire e imparare come funzionano queste novità”, “di giocarci” un po’ e capire come possono essere integrate con il lavoro di sviluppatore”. 

Come ci hai ricordato il mercato si è evoluto, diventando più ampio e complesso. Leggendo tra le righe, però, mi sembra di capire che è anche più interessante, vero? Qual è stato il tuo dispositivo o applicazione preferiti, su cui hai lavorato? Quali sono stati, secondo te, i veri highlight della tua professione? 

“Il mio dispositivo preferito è stato il “Nexus One” e ci sono un paio di ragioni per cui dico questo: la prima è che è stato il mio primo smartphone. Non ero mai stato nel mondo degli smartphone fino a quando mi sono unito al “team Android” a metà del 2010. Mi sono unito al team e ho iniziato a giocare un po’ con i vari device, ne ho avuto alcuni tra cui appunto il Nexus One: un dispositivo molto carino, che stava bene tra le mani, aveva tutte queste incredibili funzionalità ed era molto veloce per quei tempi. Poi lo schermo era enorme, una cosa che sembra ridicola rispetto ai dispositivi di adesso. Mi ricordo la gioia e l’entusiasmo per quei device. Certo adoro il mio Pixel 4 che uso tutti i giorni, è un device fantastico, ma non ha quel velo di nostalgia che i miei primi Nexus avevano.

Per quanto riguarda le app, direi che la mia preferita è Calendar. Io tendo a essere un po’ sbadato, per anni e anni ci sono state riunioni a cui avrei dovuto partecipare e che puntualmente mi perdevo. Le scrivevo sul calendario o su un pezzo di carta (quando usavamo ancora la pergamena e la piuma), ne segnavo altre sul mio pc, ma questo non implicava necessariamente che io avessi sott’occhio gli appuntamenti al momento giusto. Mi perdevo costantemente i meeting perché non ricevevo un promemoria dell’evento. Lo smartphone oggi può connettere tutte queste informazioni della nostra vita cosicché qualcuno può creare un evento per me nel suo calendario, mandarlo a un server e il server spedisce nuovamente indietro l’informazione al mio telefono che mi notifica l’impegno”.

L’esempio della tecnologia che risolve i problemi è davvero molto importante. È così che la tecnologia fa la differenza. In quest’ottica che cosa significa per te “think mobile”?

“Torno all’esempio di Calendar, ma ce ne sono molti altri, quando connettiamo servizi, informazioni e device nella nostra vita. È tutto intorno a noi e possiamo avere le informazioni necessarie ovunque ci troviamo. Tornando a qualche tempo fa, per il mio lavoro come developer advocate, viaggiare costituiva la parte principale della mia professione. Dovevo radunare tutti i dettagli utili insieme: sapere quale fosse il mio volo, quale fosse la mia corrispondenza, dove sarei atterrato, dove si trovasse l’aeroporto, l’hotel, come spostarmi da un posto a un altro, quali fossero i mezzi pubblici disponibili, dove fosse la mia destinazione, chi fossero le persone che dovevo incontrare, ecc. Mettere insieme tutto questo era davvero molto stressante. Oggi vai all’aeroporto, sali sull’aereo, sbarchi, prendi il tuo smartphone e hai tutte le informazioni di cui hai bisogno. Ci sono le informazioni sull’hotel, puoi visualizzare la mappa, capire dove ti trovi e come spostarti con i mezzi pubblici. Hai le email con le indicazioni sulla meta e le persone che devi incontrare. Puoi connetterti con chiunque per avere ulteriori informazioni. Oggi questi dati non sono più in tanti posti differenti, ma sono custoditi ovunque, “galleggiano” magicamente nel cloud e puoi scaricarli sul tuo dispositivo quando vuoi. 

La mia vita è molto meno sotto stress, sapendo che posso sempre avere tutte le informazioni che mi servono sul mio smartphone o su un qualunque dispositivo connesso alla rete”. 

Mi ricordo quando viaggiavo con una mappa stampata sulla carta, camminavo per le strade, parlavo con le persone in una lingua che non conoscevo. È così diverso dalla realtà che tu hai appena descritto. Pensi che la realtà di adesso, racchiusa nel palmo della mano sia in qualche modo migliore?

“Ci sono un paio di approcci diversi. Mi piace l’immagine idilliaca che hai descritto. Ho vissuto la stessa esperienza quando viaggiavo per il mondo, ma farei una distinzione tra un viaggio di lavoro, dove hai degli appuntamenti da rispettare ed è importante che tu sia puntuale ed efficiente e un viaggio “di piacere”, in cui è bello atterrare in un luogo, guardarti intorno e parlare con le altre persone. L’esempio che facevo prima, quindi, era riferito più all’aspetto lavorativo“.

Parlando di mobile, quali sono le più grandi opportunità del settore al momento?

“Penso di poter rispondere a questa domanda solo per quanto riguarda la mia esperienza personale e conoscenza del settore perché io ho sempre pensato al software. Ci sono, tuttavia, anche altre opportunità nell’hardware e in tutto il settore del mobile. Per me tutto riguarda il software perché penso che fornisca infinite possibilità.

Tutto è possibile con il software che programmi. Hai solo bisogno di un’idea e del tempo per scrivere il codice che possa realizzarla.

È straordinaria la quantità di cose che possiamo realizzare. Una volta che hai a disposizione gli elementi di connessione, i dati e i servizi, li colleghi insieme e così hai un enorme potenziale di crescita0. Abbiamo solo bisogno di tempo per scrivere un codice e poi possiamo fare di tutto. Quindi non vedo l’ora che ci siano innovazioni sempre più sorprendenti. Non so quali saranno. Ma saranno fantastiche.

Un altro tema che mi interessa molto sono i comportamenti umani legati al mobile. Secondo te c’è qualcosa che dovrebbe essere cambiato o migliorato nel comportamento o nell’uso dei dispositivi?

“Mi auguro che non saremo più tutti così “incollati” agli schermi dei nostri telefoni. È un po’ spiacevole passeggiare vicino a una fila di persone quando vedi tutti fare la stessa cosa. In tempi più felici di solito prendevo il bus per andare a lavoro e c’erano con me altre trenta persone che aspettavano di salire e tutte, compreso me, fissavano il telefono. Potevi leggere le ultime notizie, dare uno sguardo a Twitter o qualsiasi altro social. Mi auguro, però, che cambieremo questo comportamento, che interagiremo di più fra noi e spenderemo più tempo “fuori” dai nostri schermi“.

Parlando ancora di questo argomento, secondo te, ci sono delle particolari opportunità o cambiamenti che debbano essere fatti a favore delle minoranze, come chi ha handicap visivi, uditivi o semplicemente è più avanti nell’età?

“Certamente. Credo che si siano fatti molti passi avanti e ce ne sono ancora molti da fare. C’è un’attenzione costante da parte dei fornitori delle piattaforme e da parte delle stesse applicazioni che sono sviluppate con l’obiettivo di fornire strumenti abilitanti per questo tipo di audience. Mia mamma, per esempio, attualmente è ipovedente, la sua vista peggiora a causa dell’età avanzata e per questi motivi lei apprezza molto le funzionalità che evidenziano le icone, su cui io ho lavorato per anni e che consentono di ingrandire ogni singola parte dello schermo. 

Prima potevi ingrandire il testo ma questo non implicava necessariamente che anche i comandi fossero più grandi o le icone sullo schermo, con cui hai bisogno di interagire. Ma adesso che puoi ingrandire l’area interattiva di ogni applicazione è molto più facile per lei utilizzare il dispositivo come facciamo tutti. Allo stesso tempo ci sono anche funzionalità che leggono i testi: puoi cliccare sulle icone e una voce le legge per te. Non siamo ancora arrivati “al traguardo” comunque. Ci sono numerosi team di persone che lavorano in questi ambiti in Google e in molte altre compagnie perché è molto importante non solo per le persone che sono là fuori oggi, ma per tutta la popolazione che costantemente invecchia”.

Abbiamo già parlato dello scenario dell’ultimo anno, della pandemia e di come essa abbia dato una forte spinta alla presenza del mobile nella quotidianità. Tutto questo ha contribuito anche a creare una forte disparità: se non avevi il giusto dispositivo non potevi lavorare o studiare da casa. Quali sono stati, dal tuo punto di vista, i cambiamenti più rilevanti nel mobile?

“Credo che questo contesto abbia, in gran parte, enfatizzato l’importanza della interconnessione e di avere a disposizione tutti i dispositivi necessari. È bello che i device negli ultimi anni siano diventati sempre più accessibili a livello di prezzo. Agli inizi gli smartphone erano prodotti riservati a un’élite che poteva permetterseli. Oggi invece ci sono questi dispositivi che sono molto più economici e comunque molto potenti nonostante ci siano ancora grandi disparità di mezzi, anche in termini di capacità di utilizzare questi device.

Non puoi fare i compiti su uno smartphone, ma hai bisogno di un PC che però molti non si possono permettere. Ci sono sistemi scolastici che non hanno tutte le infrastrutture di cui avrebbero bisogno.  All’improvviso tutti i bambini sono rimasti a casa, a seguire le lezioni scolastiche dalle proprie abitazioni e dovevano, dunque, avere tutti gli strumenti per ricevere le informazioni dalla scuola, dagli insegnanti, per seguire le lezioni, per fare i compiti e consegnarli. 

Penso che la pandemia abbia accelerato molte competenze e abbia contribuito a potenziare molte funzionalità nel mobile per aiutare le persone, ma penso anche che abbia contribuito a causare molte disparità con le persone che questi mezzi non li avevano o con le scuole che non avevano le infrastrutture per far fronte a tutto adeguatamente. 

Credo che molte persone abbiano sofferto per questo: per non essere in grado di imparare abbastanza e per non poter lavorare perché non avevano questi strumenti. Una volta usciti da questa situazione, sarà interessante vedere dove saranno i “gap” e come potremo prepararci meglio ad affrontare le circostanze avverse“. 

Ci ha aperto gli occhi questa pandemia. Una questione molto banale, ma che si collega con tutto quello di cui abbiamo parlato finora. Tutto ciò non esisterebbe senza i telefoni ricaricabili. In futuro, potrà diventare più semplice ricaricare i telefonini? 

“Spero proprio di sì. Credo che ci stiamo arrivando. Alcuni anni fa, non mi ricordo quale device fosse della linea Nexus, c’era un sistema di ricarica wireless. Il mondo non era ancora pronto per questo, per il compromesso tra la dimensione di cui hai bisogno per un device e la dimensione necessaria per una batteria grande, per lo schermo e per tutti gli accessori. I caricabatterie erano molto costosi, non c’erano molti dispositivi. E oggi i device di fascia alta o almeno i livelli medio-alti hanno questo sistema di ricarica wireless che è molto più comodo. La possibilità che ho di camminare per casa e posizionare questa ricarica ovunque è molto più facile. 

Mi ricordo i vecchi tempi con il cavo USB, lo collegavi e poi ti accorgevi che non era il verso giusto allora lo staccavi e lo collegavi di nuovo e ti rendevi conto che in realtà era di nuovo sbagliato e guardavi il dispositivo e poi il cavo. Ci volevano sempre almeno tre tentativi. E poi dovevi essere abbastanza vicino al cavo e alla presa di corrente, ricordarti di prenderlo quando viaggiavi. Almeno una volta è successo a tutti che al momento dell’atterraggio ti accorgevi che non avevi il cavo USB e andavi a comprarne un’altro. Credo che la situazione migliorerà con i caricabatterie wireless”.

La parola “compromesso” sintetizza bene molti concetti di cui abbiamo parlato. E il compromesso sembra essere la chiave quando ci sono delle novità e dobbiamo capire cosa perdiamo o sacrifichiamo. I prossimi dieci anni come saranno? Cosa accadrà?

“Per intuito penso che saremo tutti ancora seduti nelle nostre case aspettando che questa pandemia finisca perché sembra che questo ultimo anno sia già durato secoli. Mi auguro che potremo uscire da tutto questo nei prossimi mesi e tornare a un certo senso di normalità, qualsiasi cosa essa sia, ma è molto difficile prevedere il futuro della tecnologia. Se fossi vissuto a metà degli anni ‘90 probabilmente avrei fatto difficoltà a prevedere la nascita degli smartphone o fino a dove potessero arrivare, così come l’avvento dei dati mobili insieme a tutte le capacità delle CPU. Qual è il prossimo passo? Dove può andare il mobile a partire da qui?

Oggi i dispositivi connessi non sono più solo gli smartphone. Abbiamo preso la potenza dei computer desktop di dieci o quindici anni fa e l’abbiamo messa nelle tue tasche. Oggi puoi anche avere tutto questo sul polso o in una forma più grande come un tablet“.

Grazie mille Chet e arrivederci alla prossima intervista!

Non hai tempo di vedere o di leggere? Nessun problema, c’è la versione podcast dell’intervista a Chet Haase!

Ascolta “Mobile / Chet Haase [settembre 2021]” su Spreaker.

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