Si è concluso da poco il mese dedicato alla creatività. Il nostro viaggio continua con la seconda tappa, una nuova “parola chiave”: Digital Transformation. In compagnia del Prof. Guido Saracco (Magnifico Rettore del Politecnico di Torino) parleremo di come sono cambiate le nostre abitudini, di come sta evolvendo il mondo delle università grazie alle nuove scoperte tecnologiche, anche a causa della Pandemia.
(Conduce l’intervista: Francesco Ronchi, Founder e President di Synesthesia)
[Guarda versione completa dell’intervista – 20 min]
Professor Saracco, dal 17 marzo del 2018 lei è Rettore del Politecnico di Torino, con un passato di studi e di ricerca nel campo della chimica, cosa l’ha portata a questo punto? Qual è stato il “carburante” del suo percorso professionale?
“Da ricercatore a professore associato, occupandomi di un gruppo di ricerca che è cresciuto progressivamente, sono diventato professore ordinario abbastanza in fretta, a 37 anni. Da quel momento in poi ho avuto occasione di occuparmi di temi sempre più rilevanti fino ad arrivare alla dirigenza dell’Istituto Italiano di Tecnologie dove il mio capo era il Prof. Cingolani; attualmente al capo del Ministero della Transizione Ecologica. In seguito, mi sono candidato nella campagna per diventare rettore del Politecnico di Torino. Si è trattata di un’esperienza che mi ha appassionato molto: mi ha fatto travalicare i confini di quella che era la mia area culturale (la chimica, la fisica, l’ingegneria chimica e le scienze applicate) e mi ha fatto conoscere un Ateneo che per quanto settoriale e tecnologico ha un ampio spettro di competenze. Per esempio, l’architettura, che è una parte che dialoga con le scienze dell’uomo e della società, mi ha arricchito tantissimo. La campagna elettorale che mi ha portato a diventare rettore divenne anche un gran progetto che poi con il supporto dei miei colleghi divenne il piano strategico del Politecnico di Torino: “Polito for Impact”. Siamo a metà mandato e la nostra Università sta diventando foriera di impatto sociale. Custodisce e favorisce la formazione di architetti, designer e pianificatori nel modo tradizionale, come piace all’industria e come piace alla società. Adesso riesco a dialogare con l’interezza di tutto ciò che vive al di fuori delle nostre “mura”. Tutto questo è molto bello. In questo momento credo che il Politecnico di Torino venga percepito molto più di prima come una delle forze di questo territorio”.
Il Politecnico ha subito un cambiamento molto significativo nel corso degli anni. Mi ricordo, una ventina di anni fa, i corridoi un po’ grigi del Poli e riscoprirli negli ultimi anni è stata una sorpresa. Questa trasformazione che il Politecnico ha fatto recentemente è stata molto interessante. Difficile da riscontrare in altre istituzioni. Prendiamo, per esempio, il tema della sostenibilità. Mi pare di capire che sia centrale in questo percorso. Giusto?
“Sì, ne è testimonianza il fatto che la mia Prorettrice è la coordinatrice della rete delle Università per la Sostenibilità. Lei è in contatto con il Prof. Giovannini che in questo periodo è al Ministero del Trasporto e delle Mobilità Sostenibili. La transizione ecologica, cioè quella energetica che va verso un’economia circolare, è il primo cardine di cambiamento attuale, seguito dalla transizione digitale e poi dall’inclusività che dobbiamo garantire per rimarginare i disagi e le ferite profonde nella società. Questa transizione va di pari passo con il cambio di assetto di un’economia fortemente liberista che ha portato a quello “schianto“ di cui parla Adam Tooze del 2008.
Adesso dobbiamo ripartire in modo sostenibile. Tutto va in questa direzione: sostenibilità, transizione digitale e inclusività. Questi in fondo sono i cardini del Next Generation EU, il grande fondo approvato dal Consiglio europeo per sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia di COVID-19. Oggi l’Europa ci chiede di fare esattamente questo. Siamo contenti di aver anticipato un po’ i tempi. Pensi che il centro di ricerca dell’IT, che ho ripreso a dirigere in quei due anni prima di fare il rettore, era dedicato inizialmente alla robotica umanoide nello spazio. Poi l’abbiamo convertito in un centro di tecnologie per un futuro sostenibile, che sono state per un po’ il mio cavallo di battaglia come ricercatore.
Questo Istituto rappresenta un po’ il motore per lo sviluppo sostenibile della transizione ecologica insieme a tutte le infrastrutture che ha messo a disposizione il Politecnico. Si tratta di un modello che stiamo riproponendo anche a Mirafiori nell’ambito dell’Industria 4.0 dell’autoveicolo e alla Cittadella dello Spazio.
Abbiamo, poi, avviato anche altri importanti progetti come Tech Stars con le OGR, Smart Beta, il nostro centro interdipartimentale, il piano di ex Fiat Engineering in Corso Ferrucci dedicato alla Cyber Security, all’intelligenza artificiale, all’IoT e allo sviluppo.
Pianifichiamo di ospitare aziende che si occupano della conversione digitale di tutti quei servizi che vanno dalla burocrazia alla salute, alla mobilità sostenibile e alla domotica. Il mondo delle infrastrutture smart è un mondo molto interessante, dove tutto è collegato a tutto. Ci sono molte opportunità da cogliere rapidamente. Il vantaggio di quel mondo, che voi conoscete molto bene, è che si può “penetrare” con l’innovazione concreta in tempi molto più rapidi rispetto a quelli della transizione ecologica che, come noto, richiedono primariamente un cambio di mentalità e di paradigma di lunga durata”.
È molto interessante questo spostamento di focus dallo spazio alla terra, ai problemi della sostenibilità, ai problemi che dobbiamo affrontare con una certa urgenza. Trovo molto interessante, inoltre, tutte queste opportunità e iniziative che lei ha appena elencato legate alla città di Torino e alla crescita tecnologica che danno fiducia verso il futuro. Per noi questa città ha la possibilità di rilanciarsi proprio attraverso le tecnologie del digitale e l’attenzione all’inclusività e a un approccio diverso all’imprenditoria. Questi temi sono al centro del nostro modo di fare impresa. Molte altre aziende si sono accorte che questa è la strada giusta per potersi assicurare un futuro solido. Alla luce di questo scenario, che impatto avrà la trasformazione digitale nella formazione dei giovani professionisti di domani?
“Anche il mondo della finanza sta andando verso questa direzione, grazie anche ad una maggiore consapevolezza. Le banche hanno cominciato a capire che occorreva investire in vie che non dessero immediato profitto, ma avessero un impatto sociale, una crescita. Penso a tutte quelle iniziative di social impact che promuovono certi fondi di matrice UniCredit. Io ho avuto l’onore di far parte del board di indirizzo Nord-Ovest di Unicredit e ho visto dietro le quinte come ci si stava orientando verso quel tipo di investimenti. Oggi se non si va a creare uno sviluppo che porta avanti le imprese insieme alla società collassano i conti correnti. Tutti ormai si sono resi conti quanto da soli si è deboli e di quanto occorra fare sistema e progettare insieme. Questo è quello che sta succedendo nel Politecnico di Torino perché ci siamo resi conto che se avessimo continuato a formare ingegneri molto forti sui fondamenti e sulle conoscenze tecnologiche, ma meno sulle scienze dell’uomo e della società, sul saper gestire le persone (le soft skill), sulla capacità di un pensiero critico, questi non sarebbero stati in grado di intervenire nella società.
Mi sono chiesto che significato avesse fare tutto questo per le università italiane. Abbiamo deciso di invertire la rotta e ci siamo occupati di formazione professionalizzante, molto più esperienziale, soprattutto per quanto riguarda i laureandi in triennale, non ancora ingegneri ma molto utili alle piccole e medie imprese. Ci siamo occupati di reskilling e upskilling perché cambia tutto così velocemente che è necessario istruire continuamente le persone. Abbiamo cambiato profondamente il modo in cui formiamo gli ingegneri e gli architetti: più scienze dell’uomo e della società per gli ingegneri e più challenge in cui gruppi di ingegneri e architetti affrontano problemi complessi e opportunità di innovazione. Abbiamo appena varato un progetto che si chiama “Grandi sfide” in cui, già nelle triennali, i ragazzi possono accedere a sei macro gruppi di sfide (la salute, l’ambiente, la digitalizzazione, i cambiamenti climatici) affiancati da due mentori: un tecnologo e uno scienziato della società.
All’interno del Politecnico, poi, abbiamo creato un Centro di Studi Umanistici per aiutare i ragazzi ad avere anche altri punti di vista. Si tratta di un approccio che abbiamo preso dall’ EPFL di Losanna. Non ci sono altre università italiane che ce l’abbiano. Si tratta di un tipo di formazione disegnato sull’individuo e sulle sue capacità. La visione tradizionale non ti consente di customizzare nulla su te stesso.
Un’altra cosa interessante che stiamo cercando di fare è la contaminazione delle filiere della formazione primaria e secondaria. Paradossalmente c’è bisogno di più scienze e tecnologie nelle scuole dell’obbligo tanto quanto nella scuola del Politecnico c’è bisogno di scienze della società”.
L’apertura mentale è utile per il proprio percorso personale. Proprio a proposito di future generazioni, il Politecnico “sforna” tantissimi professionisti di cui il mercato oggi è affamatissimo ed è importante per tutti evitare che queste persone vadano via ma, al contrario, assicurarsi che restino sul territorio. Come è cambiato il panorama? Quali sono state le sfide da affrontare e come è il mondo oggi?
“Le rispondo in modo molto diretto. In questo momento non ne possiamo più. In 10 giorni l’università italiana è diventata virtuale. Ogni settimana facevo video motivazionali. Adesso se facessi un video mi “spernacchierebbero” immediatamente tutti quanti ed è comprensibile. Non c’è più tolleranza e quindi bisogna resistere. Questo è davvero il semestre più complesso, ho fatto un appello a essere vicini al rettore, a chi non può mollare, a chi rappresenta un po’ la “chiave di volta” su cui si scaricano tutte le tensioni. Però sono anche orgoglioso di essere in questa posizione e di fare ciò che devo.
Non so cosa succederà, ci riscopriremo dopo il lockdown con un nuovo modo di incontrarci. Sicuramente saremo più poveri. Vedo tante storie di sofferenza, richieste di lavoro, genitori in difficoltà con le tasse universitarie. È molto complesso in questo momento stare dietro questi temi. Ci siamo dotati di strumenti informatici più “forti”, siamo in grado di offrire in simultanea in ogni parte del mondo lezioni. Abbiamo ragazzi che dal Sud America alla Cina, all’Europa, all’Africa collaborano insieme in classi che fanno progetti di architettura e design. Abbiamo il 15% di studenti stranieri e abbiamo avuto un incremento nell’ultimo periodo proprio grazie alle nuove modalità di erogazione delle lezioni. Non si sa ancora se il prossimo semestre ci sarà la deroga per continuare a erogare da remoto. Abbiamo circa 1200 studenti cinesi, sono la comunità straniera più grande. Ho fatto un appello alle mamme di mandarci i loro studenti che troveremo un modo per vaccinarli e abbiamo aperto anche un canale Wechat in Cina per essere più veloci nell’erogare la didattica verso di loro.
Freak Antoni degli Skiantos diceva “mentre gli altri sono arrivati al fondo della buca e iniziano la risalita, io mi ritrovo a scavare”. Il Covid-19 ci ha fatto scavare e toccare con mano come solo insieme si riesce a ripartire. Il pensiero di Stiglitz che mi ha ispirato, a cui abbiamo dato una laurea honoris causam in occasione del festival della tecnologia per i nostri 160 anni nel 2019: lui ritiene che in questo periodo sono le università, le fondazioni, le associazioni no profit, io aggiungo anche le multi-utility come IREN che possono dare un impulso. Società che hanno un buon bilancio e che ci possono portare a fare il cambio verso uno sviluppo sostenibile perché ne hanno la potenzialità economica e possono indirizzare il cambiamento.
Io collaboro con Iren, con EGEA nel Cuneese che sta facendo una “Granda CO2 free”.
In questi 10 anni il mondo è cambiato soprattutto dal punto di vista della tecnologia. Abbiamo visto il mondo trasformarsi. La parola di oggi è la trasformazione digitale, appunto. Come vede i prossimi 10 anni? Come saremo in una sua ipotetica visione tra 10 anni? Che cosa dobbiamo aspettarci in futuro? Quali scenari ci attendono?
“Non ho la bacchetta magica, ma quello che ho visto capitare nell’industria chimica è incredibile. La Solvay che si trova a Spinetta Marengo applicando dei criteri di Big Data, Intelligenza Artificiale, multi-sensoristica sullo stesso identico impianto ha cominciato a regolarlo rispetto a quello che erano le sane e tradizionali regole dell’ingegneria dei controlli hanno ottenuto un + 20% di produttività. Questo vuol dire che dietro le quinte ci sono una marea di opportunità da cogliere grazie alla gestione dei dati non convenzionale attraverso questi algoritmi che siamo pur sempre noi a creare. In futuro qualunque cosa potrà diventare un generatore di dati messi a disposizione in modo del tutto nuovo e funzionale a dare quel cambio di modalità di vita. Io credo che ci saranno dei cambiamenti forti legati essenzialmente a quanto ho appena detto e che non sappiamo ancora dove arriveremo. Certamente conseguiremo prima del 2050 gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Io di questo ne sono ormai convinto. La situazione che abbiamo appena vissuto potrebbe aver accelerato questo processo. Di dati c’è un bisogno enorme. Dietro i dati si nasconde una enorme potenzialità in ogni settore. Penso che Torino andrà molto veloce e che saremo presto un esempio per il resto del Paese”.
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