Verso un mondo STEM senza barriere: intervista ad Anna Vaccarelli, la “migliore informatica d’Italia”

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6 Luglio 2022

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Anna_Vaccarelli

“Ricordo che il professore di Analisi del nostro corso ci invitò subito a cambiare facoltà”. Anna Vaccarelli, “pioniere della cyber security”, ha ricevuto recentemente dallo CNEL il premio come “migliore informatica d’Italia”. La sua storia, fatta di determinazione e sogni realizzati, ha tanto da insegnarci. Scopriamola insieme!

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Anna Vaccarelli originaria di Taranto, si è laureata all’Università di Pisa in Ingegneria Elettronica. Oggi è dirigente tecnologo dell’Istituto di informatica e telematica del CNR (Cnr-Iit) di Pisa e responsabile delle relazioni esterne di Registro .it. È stata premiata dall’Italian computer society presso il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) come “miglior informatica d’Italia”.


Intervista a cura di Francesco Ronchi (Presidente e Fondatore di Synesthesia)

Anna, alla fine degli anni ‘80, lei si è laureata in Ingegneria Elettronica all’Università di Pisa, un fatto non ordinario per una donna in quegli anni. Da cosa nasce questa scelta di studi prima e professionale poi?

“Sono sempre stata portata per le materie tecniche e scientifiche. Ho fatto il liceo scientifico, mi piacevano la matematica, la fisica ma anche il disegno. Per un periodo, infatti, ho avuto anche un’idea di dedicarmi all’architettura. Poi sono nate le facoltà di ingegneria elettronica. A Bari non c’era ancora questa facoltà e quindi mi sono dovuta trasferire.

Seguendo la mia passione per tutte queste materie, pensai che la facoltà di ingegneria elettronica potesse essere un buon compromesso, dal momento che mi piaceva la matematica, ma mi interessava molto anche la parte più applicativa di questa disciplina. 

Quando mi sono iscritta, ricordo che i primi giorni di lezione eravamo 300 matricole suddivise in due corsi. C’erano quattro ragazze per ogni corso. Abbiamo resistito al destino avverso.

Ricordo in particolare il professore di analisi del nostro corso che ci invitò subito a cambiare facoltà, suggerendoci di iscriverci a quella per assistenti sociali, che faceva lezione nelle aule a fianco. Ci disse: “Il cervello delle donne è diverso da quello degli uomini e quindi non ce la potete fare”.

Nonostante questo ci siamo laureate in 7 su 8, in tempi mediamente più brevi rispetto a quelli dei colleghi maschi e abbiamo fatto la nostra strada in questa professione. 

A completamento di questo aneddoto del primo giorno di lezione, ricordo che dopo che mi sono laureata ho lavorato per alcuni anni all’università e ho di nuovo incontrato questo professore.

Lui mi riconobbe e mi disse: “ buongiorno signorina, cosa ci fa qui?” E io gli risposi: – contrariamente alle sue aspettative io ci lavoro qui. Grazie e arrivederci – 

Mi sono tolta il sassolino dalla scarpa. Alla fine questo giudizio negativo non ha impedito nè a me nè ad altre mie colleghe di proseguire nella nostra carriera. 

I numeri delle iscrizioni femminili a ingegneria elettronica per fortuna sono aumentati nel tempo. Ancora oggi continuano a esserci indirizzi meno frequentati dalle donne come ingegneria meccanica o aeronautica. Noi eravamo 4 studentesse, a civile erano 12, a meccanica in 2 e ad aeronautica 1. Sono percentuali che rendono bene l’idea.

La situazione è andata poi negli anni migliorando. Secondo alcuni docenti, soprattutto nella facoltà di informatica, c’è stato un momento di aumento delle presenze femminili intorno agli anni ‘80-’90. Oggi pare ci sia di nuovo un calo. È un tema, dunque, su cui bisognerebbe interrogarsi e riflettere”.

Per quale motivo, secondo lei, alcuni settori professionali, come per esempio quello della tecnologia e del digitale, sono ancora “occupati” principalmente da uomini? Quali sono le difficoltà che riscontrano le donne oggi per entrare in questo mondo?

“Ci sono molti fattori. Uno degli strumenti principali che viene citato sempre è la formazione per le ragazze: bisogna convincerle che sono brave e possono fare tutto come i maschi, che non si devono far intimorire, che devono comunque essere convinte di poter riuscire in un settore a cui sono interessate.

Tuttavia, bisognerebbe lavorare sui ragazzi. Occorre cambiare la loro mentalità. Se i ragazzi si abituassero fin da bambini a considerare le proprie compagne di scuola alla pari sotto tutti i punti di vista e sospendessero una serie di atteggiamenti “maschilisti” ereditati dalla famiglia o dalla società, questo consentirebbe di fare davvero un grande balzo in avanti. 

Non dovremmo solo lavorare sulle ragazze per convincerle che sono brave, ma dovremmo invece partire dal presupposto che questo è un dato certo. L’investimento sui ragazzi, invece, ci consentirebbe di avere un domani uomini che non hanno più comportamenti “maschilisti”, frutto di abitudini, retaggi e pregiudizi, negli ambienti di lavoro. 

Io sono stata per anni contraria alle quote rosa. Mi rendo conto però che in certe circostanze è l’unico modo per imporre la presenza femminile in alcuni contesti in modo che ci sia l’apporto di un punto di vista diverso. Purtroppo le quote rosa servono per lavorare in questi ambienti e fare in modo che possano essere le donne ad avere poteri decisionali. Comincerebbe a esserci un approccio diverso. 

Rispetto al fatto che le donne possono essere più o meno valorizzate, devo dire che anche questo è un concetto “da prendere con le pinze” perché non tutti gli ambienti sono uguali. Faccio parte da alcuni anni della community Women for Security, un gruppo di professioniste della cybersecurity con vari ruoli, da quelli tecnici a quelli di marketing, alla comunicazione, ecc. Abbiamo fatto una survey per cercare di capire qual è la situazione delle donne nei vari ambienti di lavoro relativamente alla cybersecurity. Da questa ricerca, a cui hanno risposto circa 200 donne, non è emerso in modo evidente che le lavoratrici siano discriminate o poco valorizzate nell’ambiente di lavoro. Ci aspettavamo, in effetti, numeri più alti. Quelle che lamentano di essere trascurate sono una minoranza. Probabilmente, quindi, non tutti gli ambienti sono uguali. 

Nel CNR non c’è una discriminazione tra uomini e donne perchè sono concorsi pubblici con accesso per titoli. A livello di entrata dei ricercatori la quantità di uomini e donne è simile. Il numero delle donne è un po’ superiore negli indirizzi umanistici e quello degli uomini negli indirizzi più tecnici, ma parliamo comunque di cifre intorno al 50%. 
La situazione cambia molto se si sale di livello. Via via che si arriva ai ruoli apicali, ai C-level, la quantità di donne diminuisce e tende a sparire. Nel CNR abbiamo circa un centinaio di istituti, credo che ci siano circa 3 o 4 direttrici, tutti gli altri sono uomini. La portabandiera di questa “sfida” è il nostro presidente Maria Chiara Carrozza, prima presidente donna del CNR che sta dimostrando di voler cambiare proprio alcune situazioni con riferimento a questo tema”.

Anna, dal 2010 lei coordina e promuove attività di diffusione della cultura di internet nelle scuole. A livello scolastico e formativo come si pone l’Italia nei confronti del gender gap in ambito STEM? Come si colloca l’attività di sensibilizzazione rispetto a questo tema?

“Ci sono delle iniziative che sono più che altro fuori dall’ambiente scolastico. Per esempio iniziative di diverse università ed enti formativi. Quello che manca, però, a queste attività è il fatto che restino fuori dal sistema scolastico nazionale. Noi, da 10 anni, organizziamo diversi laboratori nelle scuole con strumenti diversi e contenuti diversi, dalle primarie alle secondarie di secondo grado. Utilizziamo strumenti ludico-didattici per le primarie mentre alle superiori forniamo veri e propri mini corsi di cybersecurity. Abbiamo scelto di fare questa esperienza attraverso le scuole, inserendoci così nei percorsi didattici previsti. 

Nelle scuole entriamo con le ore di cittadinanza digitale. Oggi tutti gli insegnanti si trovano di fronte alla necessità di fornire agli studenti 33 ore di educazione civica, di cui 4 di educazione digitale. Noi proponiamo un percorso per coprire queste 4 ore e così otteniamo lo scopo di riuscire a parlare di questi temi con i ragazzi. Questo vale per tutti i livelli di educazione.

Nelle scuole superiori c’è anche lo strumento del PCTO che ci consente di entrare nella programmazione didattica. Nelle scuole è più facile intercettare i ragazzi. 

L’altro problema per svolgere questa attività nelle scuole, oltre a potenziare queste ore di cittadinanza digitale, è che spesso i docenti non sono in grado di seguire questi temi. Non hanno una preparazione adeguata e approfondita e alla prima domanda che fanno gli studenti (che 90 su 100 ne sanno più di loro) non sanno come rispondere e si sentono messi in discussione nel loro ruolo di insegnanti ed educatori. 

Questo comporta due cose:

La prima è che per ovviare a questo inconveniente noi abbiamo messo a disposizione dei docenti, attraverso il portale “presente digitale”, dei corsi di formazione: sono corsi online gratuiti che danno diritto ai crediti MIUR e che trattano temi come coding, cyber security, ecc.

La seconda riguarda gli adulti in generale che dovrebbero avere un atteggiamento diverso nei confronti dei ragazzi quando si parla di questi temi. Occorre partire dal fatto che per tante cose loro ne sanno di più. Quindi non ci dovremmo vergognarci di dire: – mi spieghi come si fa questo? – . Qual è il nostro vantaggio? L’esperienza che possiamo dare. Perché i ragazzi sono smart però a loro manca l’esperienza per capire le situazioni in cui si trovano e per affrontare le difficoltà che si possono presentare nella navigazione in rete. Se l’adulto, quindi, viene guidato dal ragazzo nella navigazione, si può accorgere prima del ragazzo se c’è un problema o un contenuto non consono. 

Può mettere a disposizione la sua esperienza e il suo ruolo di educatore senza che questo venga messo in discussione. Si tratta di un insegnamento reciproco senza che nessuno venga sminuito nel proprio ruolo”.

E i ragazzi come accolgono queste attività? Sono interessati?

“Noi vediamo che effettivamente i livelli di competenza tra i ragazzi sono molto migliorati. Le ragazze in particolare migliorano maggiormente ma occorre anche specificare che c’è una loro percezione di non essere così brave con la tecnologia come i loro coetanei maschi. Partono quindi all’inizio dandoti delle risposte in cui loro si sentono meno capaci. I maschi generalmente  si sentono più sicuri.

Perciò alla fine del percorso le ragazze acquistano, in proporzione, più consapevolezza dei maschi. Il loro miglioramento è maggiore rispetto a quello dei maschi. Non solo perché hanno imparato di più, ma anche perché si sentono più sicure nel dare alcune risposte rispetto a quanto non lo fossero prima di cominciare. 

Il bilancio è dunque positivo sia dal punto di vista della soddisfazione e dell’interesse per i ragazzi, sia da un punto di vista oggettivo come notiamo dalla somministrazione dei questionari”. 

Anna, lei ha ricevuto recentemente dallo CNEL il premio come migliore informatica d’Italia. Che cosa rappresenta per lei questo riconoscimento?

“Non me lo aspettavo, non avevo mai pensato di ottenere un simile riconoscimento. Ho cercato di capire le motivazioni che stavano alla base del premio e l’ho preso come un premio alla carriera. L’insieme dei contributi che posso aver dato evidentemente ha spinto la giuria a darmi questo riconoscimento. 

Questo evento ha avuto molti risvolti positivi, non solo dal punto di vista della soddisfazione personale, ma mi ha consentito anche di svolgere il ruolo di “mentore” nei confronti di altre donne e ragazze con le mie stesse inclinazioni professionali.

Mi sembra un aspetto molto positivo per portare avanti questi argomenti di cui abbiamo parlato finora”.

Per concludere cosa consiglierebbe oggi a una ragazza che decide di iniziare un percorso di studi in ambito STEM? 

“Consiglierei di andare sempre avanti e non farsi scoraggiare. Prima di tutto occorre decidere di intraprendere questo percorso senza pregiudizi, senza preoccuparsi di quello che gli altri le possono dire. Le direi di seguire sempre la propria strada se è ciò che le piace fare.

Vorrei poi sottolineare che seguire un percorso di studi di tipo tecnico-scientifico offre molte più possibilità di lavoro rispetto ad altri percorsi. Potrebbe essere anche questo “un peso da mettere sulla bilancia in un momento di scelta tra una facoltà più umanistica o più tecnica. Una formazione più tecnica garantisce maggiori possibilità di lavoro, di carriera nel settore dell’ICT e della cyber security dove la domanda è infinitamente più alta dell’offerta: al mondo si parla di 3 milioni di posizioni da coprire e solo in Italia sono oltre 100.000. È un problema molto sentito nel mondo dell’informatica. Rinnoviamo, quindi, l’invito a tutte le ragazze e ragazzi appassionati di questo mondo a seguire questo tipo di carriera”.


Continuate a seguirci per scoprire le prossime storie di donne che stanno cambiando il mondo. Noi continueremo a raccontarvi le loro visioni perché crediamo che un mondo STEM più inclusivo e senza differenza di genere sia possibile.

 

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