10 anni di Synesthesia. Parliamo di disruptive technology con Liz Corbin

Innovazione

20 Ottobre 2021

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Liz-Corbin

Quotidianamente la tecnologia interagisce nel mondo dell’informazione apportando cambiamenti non solo per quanto riguarda la produzione delle notizie, ma anche la loro divulgazione, contribuendo in modo significativo alla lotta alla disinformazione. Quali sono oggi le innovazioni tecnologiche maggiormente impiegate in quest’ambito? Come sarà il giornalismo dei prossimi 10 anni? Di futuro e molto altro ancora ci ha parlato Liz Corbin, Vice Direttrice dei media e Direttrice delle news per  European Broadcasting Union (EBU).

Conduce l’intervista Lucy James, Event Manager di Synesthesia.

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[Guarda la versione completa dell’intervista – 30 min]

Liz, lavori nella cronaca giornalistica da più di 20 anni. Nel tuo ultimo ruolo, alla BBC News, hai gestito una redazione composta da oltre 100 giornalisti internazionali. Ora sei Vice Direttrice dei media e Direttrice delle news per  European Broadcasting Union (EBU) e fornisci notizie a più di 115 membri dell’organizzazione, che raggiungono un pubblico di oltre un miliardo di persone in tutto il mondo. In questi anni molte cose sono cambiate: dai servizi a consumo, agli smartphone abilitati per l’IoT e alle disruptive technology. In che modo la tecnologia ha interagito nel campo delle notizie e dei servizi di cronaca? E quali cambiamenti ha portato nel tuo ambiente lavorativo? 

“Ci sono stati grandi cambiamenti negli ultimi 20 anni. I telefoni non servono più solo per telefonare e i servizi giornalistici non sono più girati sui nastri. Ora tutto è in digitale, esistono piattaforme con cui la gente può accedere alle notizie in modo semplice e immediato e questo rappresenta un cambiamento radicale”.

Parliamo un po’ della tua esperienza: come fai di solito a scoprire nuove news? 

“All’inizio della mia carriera ho lavorato nei telegiornali. Al tempo la maggior parte delle notizie erano trasmesse dalla televisione, poi, di recente, sono passate in forma digitale.Quando ho cominciato a lavorare nel giornale locale, il modo in cui trovavamo le news dipendeva dalla storia che dovevamo raccontare e che sarebbe, successivamente, entrata a far parte dell’edizione stampata e trasmessa sia dalla radio sia in televisione. Avevamo cicli di notizie di 24h (o settimanali), ma ora i tempi e i modi con cui si possono reperire le notizie sono completamente diversi. Dal punto di vista delle trasmissioni, il notiziario serale è ancora un appuntamento ordinario e molto seguito nella maggior parte dei paesi. 

Le persone, per tenersi aggiornate, attivano le notifiche sul telefono, trascorrendo molto tempo sulle piattaforme digitali per l’informazione. Per questo, il modo in cui facciamo giornalismo è inevitabilmente cambiato”.

Una delle cose che hai accennato prima è il cambiamento nel consumo di notizie. Ora, secondo te, la disruptive technology ha in qualche modo cambiato la “competizione naturale”?   

“I media di servizio pubblico hanno ovviamente un numero enorme di concorrenti, poiché si sono diffusi di recente e arrivano al pubblico in modo più diretto. Alcune persone descriverebbero i media come un filtro di informazioni, un “luogo affidabile” di cui potersi fidare, vedendo i giornalisti come dei “curatori di notizie”. Il problema è che oggi le notizie si diffondono molto rapidamente, le persone hanno accesso a ogni tipo di informazione, ma non sono tutte affidabili. Per il nostro settore, navigare su internet e informarsi sulle notizie che stanno circolando è fondamentale tanto quanto sapere se il pubblico consuma contenuti di qualità. 

Le famose “fake news”, un tempo, le avremmo semplicemente ignorate, ora non possiamo più. Dobbiamo occuparci di quel contenuto ed è nostro compito aiutare il pubblico a distinguere l’enorme quantità di notizie”.

Prima hai detto che preferisci vedere il giornalista dei media come il “curatore di notizie”, o forse sarebbe più appropriato dire “curatore responsabile di notizie”, poiché ha la responsabilità di selezionare le notizie in base alla loro veridicità. 

“Esatto. Alcune persone utilizzano internet come strumento per ottenere le informazioni “non filtrate”, pensando di avere accesso alle fonti reali per distinguere le notizie vere da quelle false. E poi ci sono, al contrario, tante persone che non si fidano di quello che leggono su internet. Per questo motivo, apprezzano il fatto che i siti delle testate giornalistiche verifichino e filtrino le news prima di pubblicarle. Il telegiornale è, per molti versi, una specie di intrattenimento, ma la competizione e il consumo nel nostro settore sono cambiati. Quando venivano trasmesse le notizie, solitamente dalle 18.00 alle 19.00, lo spettatore aveva l’opzione di passare da un canale all’altro e la concorrenza si limitava ai diversi canali televisivi. Adesso, sui nostri telefoni, abbiamo a disposizione tantissime piattaforme di social media, musica, giochi o provider di streaming e la concorrenza è aumentata in modo esponenziale.

Per questo noi giornalisti abbiamo la responsabilità di rendere i contenuti il più possibile “attraenti””

Mi faresti degli esempi di modifiche, apportate al notiziario delle 18.00/19.00, di stile, forma o contenuto, per combattere questo ambiente altamente competitivo e riuscire a mantenere viva l’attenzione dello spettatore?     

“Negli ultimi 5/10 anni abbiamo cambiato molte cose, grazie agli insegnamenti ricevuti dai contenuti digitali che abbiamo prodotto. La televisione permette di ricevere un feedback sul numero approssimativo di persone che stanno guardando il tuo notiziario. Invece, quando si pubblica un contenuto online, si riceve una grande quantità di dati che rivelano molto sulle preferenze del pubblico. Quello che abbiamo fatto per l’industria della televisione è stato introdurre nel notiziario televisivo alcuni insegnamenti derivanti dal mondo digitale. Ho lavorato per circa 10 anni nei notiziari e saprei esattamente come strutturare un servizio, o un “pacchetto televisivo” come lo definiamo noi, in modo impeccabile. L’unico feedback che avrei ricevuto sarebbe stato quello dei miei colleghi, i quali avrebbero approvato il mio lavoro. Una volta lanciato il servizio sulle piattaforme, però, ci saremo resi conto che quel modulo televisivo non funzionava affatto online. 

La televisione è un prodotto “appiccicoso” perché ha il compito di incollare allo schermo il pubblico, il quale è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e può decidere da un momento all’altro di cambiare canale. L’online, invece, è un luogo in cui se non ti piace quello che stai guardando puoi cliccare su qualche altro contenuto. È una user experience molto diversa, che ci ha insegnato a realizzare i video televisivi con tecniche differenti. Così la televisione ha cominciato a cambiare come mai prima d’ora. Anche la tecnologia ha aiutato sotto vari punti di vista: fotocamere più piccole e software di editing più sofisticati hanno aperto nuove frontiere. Ricordo ancora quando mi dividevo tra film in cassetta e video sugli schermi e non è passato molto tempo da allora, ma quella progressione è stata davvero veloce. Improvvisamente dall’esterno sono arrivate nuove regole, che hanno portano con loro sfide affascinanti”.

Hai reso perfettamente l’idea generale, ma potresti farmi qualche esempio più specifico?

“Quando realizzi un servizio televisivo, potresti avere dei problemi nella struttura o nel “pensiero chiave” del pezzo, ma aprendo il servizio con una magnifica immagine di un paesaggio o di un’alba riusciresti a catturare l’attenzione del pubblico. In digitale, invece, hai davvero pochissimi secondi per rapire l’occhio dell’utente e non serviranno a nulla le foto di paesaggi, se perdi la loro attenzione se ne andranno.  Ricorda: hanno il mouse in mano e rischi di perderli da un momento all’altro. Quindi il coinvolgimento tra l’online e la televisione sono molto diversi. I notiziari televisivi sono tra i più prestigiosi, ma anche tradizionali e leggermente a rischio a causa di questi cambiamenti, nonostante godano di un pubblico di affezionati.

Alcune volte bisogna correre il rischio di sperimentare e commettere qualche errore”.

Quando penso a come viene solitamente trasmessa una notizia, mi viene in mente ciò che fa da sfondo a quella notizia. Questo aspetto è ancora così importante?  

“Il reporting avrebbe bisogno di entrare in un’altra mentalità. Non serve più fare un elenco di tutte le notizie, ma bisognerebbe raccontarle ed esplorarle insieme alle persone. Questo è il tipo di atteggiamento che il digitale sta incentivando a cambiare, perché il pubblico non è stupido e sa di poter trovare le informazioni che cerca dove vuole. Se in un paese ci sono solo 4 o 5 canali televisivi disponibili, la limitata possibilità di scelta porta le persone a fidarsi. Internet invece ha cancellato questo privilegio di cui godevano le trasmissioni. Per cui riuscire a costruire un legame di fiducia con il pubblico è fondamentale”.

Hai notato dei cambiamenti nel linguaggio dei giornalisti?

“Sì, c’è stato un cambiamento consapevole. Il pubblico apprezza di più se ci rivolgiamo in modo amichevole e cordiale, rispetto al tono più “predicatorio” che utilizzavamo precedentemente. Per questo, se pensiamo ai notiziari televisivi del mattino, il tono di voce utilizzato è tradizionalmente più “delicato”, più colloquiale, motivo per il quale hanno avuto grande successo. Da decenni i notiziari del mattino hanno un ruolo molto particolare, grazie a quel tipo di approccio confidenziale”. 

Tornando al discorso della disruptive technology, ci sono stati dei cambiamenti nel modo in cui si registrano i contenuti? Mi piacerebbe sentire alcune critiche tecniche su ciò che è cambiato.

“Chiunque abbia uno smartphone ora può registrare e trasmettere contenuti multimediali. Fino a 20 anni fa non era assolutamente così, mentre oggi chiunque è in grado di registrare servizi improvvisati di qualità. Ogni giornalista può utilizzare uno smartphone per la produzione di foto e video, ma sono anche dotati di apparecchiature più sofisticate e costose, con le quali realizzano bellissime  immagini per telegiornali e documentari. Oggi disponiamo di computer, schermi e software che rendono il nostro lavoro davvero stimolante e creativo. Anche il modo di registrare è cambiato: oggi, grazie al registratore, un giornalista è in grado di produrre un servizio in autonomia, fungendo da troupe televisiva e tecnico del suono. Ma, in realtà, nell’ambito della televisione e della creazione di video,

lavorare in team rappresenta ancora un valore aggiunto, collaborare è molto importante. Per cui il lavoro può essere svolto da una sola persona, ma nel complesso è un lavoro di squadra”.

Parliamo di concorrenza: la tecnologia ha apportato dei cambiamenti nella produzione di notizie o nel modo di trasmettere le notizie dell’ultima ora? 

“Sì, ma la base è ancora la stessa: un giornalista dalla sua scrivania trasmette e condivide una notizia con la radio e la televisione. Quindi il lavoro di per sé non è cambiato, ma la velocità con cui dobbiamo lavorare è completamente diversa. Questa progressione, iniziata alla fine degli anni ‘90 con i canali di notizie a rotazione, è stata ulteriormente incoraggiata dal digitale, soprattutto con l’esordio delle app che ci tengono aggiornati sulle notizie dell’ultima ora. Anche tra noi giornalisti si sono diffusi gli avvisi per trasmetterci le storie in arrivo, ma quando non ci sono nuove storie da raccontare, non dobbiamo cadere nella tentazione di “riempire gli spazi vuoti”. Alcune volte capita di trasmettere un servizio di cui non si conoscono molti dettagli e, nonostante il pubblico voglia sapere di più, possiamo solo limitarci a dare la notizia. Il problema è che le informazioni richieste sono insaziabili, le persone vogliono sapere tutto e subito, senza capire perché non riusciamo a rispondere alle loro richieste nell’immediato. Quindi il nostro compito non è solo dire ciò che sappiamo, ma anche comunicare al pubblico che non abbiamo tutte le risposte alle loro domande.    

È curioso il fatto che oggi la televisione sia considerata uno strumento di comunicazione piuttosto vecchio, ma le persone si rivolgono ancora in gran numero ai telegiornali televisivi per avere le notizie dell’ultima ora. L’immediatezza offerta dalla televisione, però, ha trovato un rivale: le notifiche del telefono”

Riesci a farmi qualche esempio di notizie che, negli ultimi anni, hanno avuto un impatto nel cambiamento nella cronaca giornalistica?

“Non c’è stato solo un evento, ma direi che il conflitto in Siria ha cambiato considerevolmente il modo in cui i giornalisti operano sul campo. Non necessariamente dal punto di vista tecnologico, ma da quello della sicurezza e del modo in cui si trasmettevano le notizie, nonostante l’ambiente pericoloso.

I giornalisti tendevano a collaborare tra loro scambiandosi racconti sulle esperienze vissute, tenendosi fuori dal conflitto.

Per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico, posso fare l’esempio di un servizio andato in onda sull’impiego dell’intelligenza artificiale per identificare i VIP. Era stata utilizzata, per la prima volta, in occasione di un matrimonio nel Regno Unito per riconoscere i volti degli invitati e fu una novità enormemente apprezzata dal pubblico.

Certi avvenimenti portano a fare dei grandi passi avanti, dopodiché non si torna più indietro”.

Tornando al discorso della disruptive technology, prima hai parlato delle notizie dell’ultima ora: dopo aver ricevuto e verificato una notizia, la mandate a tutti i membri dell’organizzazione della BBC. Quindi anche in questo mondo moderno, dove tutto è flessibile, quelle strutture consolidate sono ancora importanti? 

“Esattamente, l’organizzazione funziona ancora così: riceve le informazioni dai suoi membri e le distribuisce a tutti gli altri. Quindi le news provenienti dal mondo intero giungono a Ginevra per essere controllate e successivamente scambiate con tutti gli Stati Membri. Questo tipo di collaborazione è fondamentale, lavoriamo così da oltre 60 anni. Anche se le cose cambieranno molto nei prossimi decenni perché non avremo molte risorse per trovare nuovi modi di condividere i contenuti, dato che la maggior parte dei nostri membri utilizza il denaro pubblico. In questo momento stiamo lavorando per trovare il modo di condividere contenuti online tra noi Stati Membri. È una sfida enorme, se si considera la quantità di lingue che ogni membro rappresenta. Per semplificare il lavoro stiamo utilizzando la traduzione automatica, nell’intento che gli utenti di tutto il mondo possano avere l’accessibilità al giornalismo digitale”

Dopo aver parlato delle notizie dell’ultima ora, vorrei che mi raccontassi qualcosa sulle “esclusive”. Esistono ancora oggi? Come sono? 

“Certo, le esclusive esistono ancora e la loro esclusività dipende davvero dalla natura della notizia. Molto spesso i giornalisti vanno alla ricerca di un’esclusiva, ma spesso la loro “caccia” non dà risultati. È davvero difficile assicurarsi di avere una storia senza che qualcun altro ne venga a conoscenza. Nel mondo in cui viviamo, possiamo avere un vantaggio sui competitor di un paio di ore, per trasmettere la notizia, ma richiede una grande pianificazione del lavoro e in ogni caso non sarà una storia esclusivamente nostra. 

Posso dire di avere un’esclusiva solo nel caso in cui l’intervistato abbia deciso di riservare quell’intervista solo a me. Tutto ciò richiede un grande lavoro, poiché prima bisogna modificare l’intervista, poi dobbiamo crearne una versione ridotta per il telegiornale, per il notiziario radiofonico e per i social media. Alla fine si troveranno una decina (o più) versioni della stessa storia.

È molto importante adattare il contenuto alla piattaforma su cui viene pubblicato, perché il pubblico è sempre più diversificato.

Il giornalismo richiede numerosi investimenti, non solo per la produzione di contenuti di qualità, ma anche per la lotta alle fake news. Quindi, mentre alcune persone inventano notizie false dalla loro camera da letto, noi mettiamo in guardia il pubblico da questo tipo di contenuti, spendendo molti soldi per raggiungere il maggior numero degli utenti. Grazie ai feedback ricevuti sui media abbiamo capito di cosa la gente ha realmente bisogno: accessibilità e chiarimenti. 

Spesso su internet si trovano notizie poco chiare o non classificate, ma se si investe nel giornalismo bisogna pensare strategicamente alle notizie che si pubblicano, in modo da creare una sorta di viaggio per il pubblico”.  

A proposito di viaggi, come sarà il viaggio nel futuro che ci attende? Che aspetto avranno le notizie e dove ci condurrà la disruptive technology nei prossimi 10 anni? 

“Sicuramente le cose continueranno a cambiare e dovremo abituarci a utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione. Si discute molto sull’uso dell’intelligenza artificiale e delle macchine coinvolte nella selezione di notizie e nella successiva fase di controllo. Ma perché non utilizzare tutto ciò che di utile ci offre la tecnologia? I vantaggi permetterebbero di semplificare il nostro lavoro e investire in aree più complesse. Lo vedo come un cambiamento continuo, non come un “non ritorno”. Anche la pandemia ha cambiato molto del nostro lavoro. Abbiamo fatto dei grandi cambiamenti, sotto alcuni punti di di vista, in un periodo di tempo molto breve. Credo che gli utenti continueranno a voler accedere alle notizie, per questo noi dobbiamo continuare a essere presenti e fornire loro tutte le informazioni che desiderano. Le cose cambieranno rapidamente e per rimanere in vita dobbiamo continuare a essere flessibili e disponibili

È un grande lavoro quello che fai e che l’industria dell’informazione ha svolto per molte decine di anni. Un lavoro complesso e continuerà a esserlo sempre di più nel futuro. Grazie davvero per averci dedicato il tuo tempo e la tua esperienza.

È stato un piacere.

Non hai tempo di vedere o di leggere? Nessun problema, c’è la versione podcast dell’intervista a Liz Corbin!

Ascolta “Disruptive Technologies /Liz Corbin. [Ottobre 2021]” su Spreaker.

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