10 anni di Synesthesia con Pietro Leo. Parliamo di Intelligenza Artificiale [luglio 2021]

Innovazione

8 Agosto 2021

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Pietro Leo

Vive in un trullo, nella provincia di Brindisi, ama la sua terra e la natura che lo circonda, ma è anche uno dei massimi esperti di Intelligenza Artificiale del mondo. Lui è Pietro Leo. Tantissimi sono gli aspetti, legati al tema dell’AI, che abbiamo affrontato con lui: dalla responsibility computing alla sostenibilità, dall’apprendimento alla creatività. Gli abbiamo anche chiesto come sarà la nostra società dei prossimi dieci anni. Interessanti e inaspettate curiosità vi aspettano. Buona lettura! 

Conduce l’intervista Riccardo Recalchi (CEO di Synesthesia)

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[Guarda la versione completa dell’intervista – 35 min]

Pietro, nella vita fai tantissime cose. Per citarne solo alcune: sei IBM Italy Executive Architect, Chief Scientist and Strategist for Active, Intelligence, Member of IBM Academy of Technology Leadership, Head of IBM Italy Center for Advanced Studies. Come trascorri il tuo tempo libero?

“Bella domanda. All’aumentare del numero dei titoli diminuisce mediamente il tempo lavorativo, è tutto molto condensato. Qualche anno fa sul mio profilo Twitter ho scritto: “vivo a dieci anni da qui”, nel futuro evidentemente. Questo fa sì che possa vedere  l’attualità e tutto quello che mi circonda da una prospettiva diversa. Ho tanto tempo per i miei trulli, il mio ulivo e il mio orto. Sto scrivendo un libro “Lo zen e l’arte di riparare il motozappa”: è un’avventura”. 

Quindi per vedere meglio le cose che succedono bisogna sempre cercare di guardare avanti per poter poi vivere al meglio il presente?

“Questa è l’ambizione. L’esatto contrario di ciò che fa l’Intelligenza Artificiale, dove si cerca di guardare al passato e di trovare le regolarità per il futuro. Io faccio esattamente il contrario: cerco di mettermi nei panni del futuro per capire e modificare il presente”.

La parola di oggi quindi è “Intelligenza Artificiale”. Se dovessi spiegarla a un bambino, quale metafora useresti?

“Che bello questo esercizio. Chiaramente quando si è in grado di spiegare questo concetto a un bambino significa che lo si masticato molto bene. Il bambino lo capisce immediatamente. Se dovessi spiegarlo a mia figlia Greta, che ha 9 anni e che frequenta peraltro GirlsTech le direi che…

Si tratta di un modo per cui le macchine diventano meno antipatiche.

Tutte le macchine, non solo i computer anche l’ascensore, sono “antipatiche”. Sono molto distanti da noi. L’Intelligenza Artificiale aiuta a impedire di essere innaturali. Per esempio, noi quando parliamo con le macchine schiacciamo dei tasti, muoviamo delle leve. L’AI non è altro che una sofisticazione della macchina che l’aiuta a essere più vicina a noi, a capire la nostra voce, i nostri gesti, a essere proattiva in qualche modo, anticipando qualche nostro bisogno. L’AI renderà le macchine sempre meno antipatiche. Attenzione però che questa AI è qualcosa che sta dentro le macchine, non si tocca, non si vede. È quasi un ingrediente, uno dei tanti, della ricetta complessiva che crea un sistema. È così pervasiva e lo diventerà sempre di più,che quasi non ce ne accorgeremo”.

Perché oggi è così di interesse? Che differenza c’è tra le intelligenze artificiali che usiamo tutti noi come utenti e quella che usano le industrie al proprio interno?

“Dal mio punto di vista non c’è nessuna differenza: così come non c’è alcuna differenza tra il cellulare che usi in azienda e quello che usi a casa. Cambiano i problemi a cui viene applicata l’AI. L’industria richiede un’Intelligenza Artificiale “più robusta”, ovvero deve resistere a maggiori problematiche di errore che potrebbe ricevere quel sistema, ma la percezione è la stessa. Gli algoritmi sono gli stessi. L’Intelligenza Artificiale che sta dietro al tocco di un tasto sullo smartphone o sulla smart TV è la stessa che sta dietro a un’azienda: invia le e-mail per catturare l’attenzione dei propri clienti.

Cambiano i casi d’uso e quindi i tipi di utilizzo. L’Intelligenza Artificiale è sempre più una questione di pubblico dominio, non è solo “per addetti ai lavori” perché tutti ormai cominciamo a vedere gli effetti di questi algoritmi. Non stiamo parlando di magia, di nuovi esseri animati, ma stiamo parlando di oggetti artificiali, che rendono, in qualche modo, le cose che ci circondano molto più “simpatiche”. 

Oggi è possibile fare una traduzione simultanea da una lingua a un’altra, o addirittura riuscire a “parlare” a un oggetto che abbiamo sulla scrivania o a un frigorifero senza commettere errori. Questi sono gli effetti eclatanti che la maggior parte delle persone vede. Nasce, quindi, anche il bisogno dei consumatori di comprendere quello che accade.

Ciò che sta avvenendo, sia dal punto di vista industriale sia dal punto di vista dei governi, è che ci stiamo rendendo conto che questa informatica di nuova generazione -di cui l’Intelligenza Artificiale fa parte insieme ad altre macro tecnologie che aiutano a creare sistemi complessi – può contribuire a rendere la nostra società complessivamente molto più efficace nei confronti dei propri cittadini. Cominciamo a vedere dei piani strategici a livello anche sovranazionale”.

Parliamo di responsability computing. Che relazione c’è tra Intelligenza Artificiale  e sostenibilità? L’industria IT sta diventando più responsabile? Perché si dice che l’Intelligenza Artificiale “consuma” energia più di altre tecnologie?

“Questo è un discorso chiave che siamo arrivati a fare dopo che la quantità di applicazioni dell’Intelligenza Artificiale che ci circonda è aumentata. L’AI nasce tanti anni fa con tecnologie che si sono nel tempo rinnovate. Specialmente nell’ultimo periodo, con il deep learning o “apprendimento profondo”, le tecnologie non fanno altro che una grande, enorme sintesi dei dati di addestramento che hanno avuto in ingresso. Questa sintesi altro non è che una funzione matematica. È come se la macchina avesse avuto un imprinting dei dati di addestramento che può riutilizzare per classificare altri dati nuovi rispetto a questa funzione. 

Nel momento in cui siamo entrati in contatto con sistemi che pervadono sempre più la nostra società come consumer, come industria e come governi, ci siamo resi conto che questi sistemi per lavorare hanno bisogno di enormi quantità di dati. Dati che noi stessi generiamo come individui o che sono raccolti dall’ambiente. A questo punto, tutto quello che è questo patrimonio immateriale del dato viene sfruttato nel modo opportuno. La questione dell’uso responsabile di questo elemento di sintesi dipende non solo dallo strumento, ma anche da come i dati sono stati utilizzati per realizzarlo, se contengono o no dei bias, dei pregiudizi. 

Una delle dimensioni di questa responsabilità, che i sistemi di AI – anche conosciuta come “etica delle AI”- stanno ponendo sul tavolo degli addetti ai lavori, è proprio questo: fin dove ci si deve spingere nell’accettare un sistema di AI in modo responsabile o no rispetto, per esempio, ai dati che sono stati acquisiti e utilizzati. 

Il responsible computing è un discorso molto vasto che impatta anche l’ambiente, il consumo energetico. L’intera bolletta energetica dell’intera informatica di tutti i sistemi tecnologici, del computer, dello smartphone, di tutto quello che noi schiacciamo e si accende con l’energia elettrica, consuma qualcosa tra il 5 e il 10% dell’intera bolletta energetica mondiale. Alcune proiezioni portano a dire che il consumo energetico nei prossimi anni andrà quasi a rasentare il 20%. I sistemi IT, nel loro complesso, assorbono davvero tanta energia e quindi dobbiamo essere responsabili, per esempio, nella loro efficienza. 

All’interno di questi sistemi, ritornando alle AI, i consumatori più “ingordi” di energia sono gli algoritmi di Intelligenza Artificiale di ultima generazione, cioè quelli che fanno riferimento a questo deep learning. Sono calcoli matematici molto intensi, sistemi computazionali o acceleratori hardware che assorbono molta energia. Per dare un esempio: il nostro cervello consuma più o meno 20 Watt. Puoi accendere un piccolo led, una lampadina. 

Per fare l’equivalente: per far muovere fisicamente la mia auto ibrida, per fare 30 km,si esauriscono i 10 kW di batteria che ho e devo fare una ricarica di 10 kW per fare altri 30 km.

Se io prendo un solo algoritmo di AI, per esempio, uno dei più famosi è il GTP 3, un algoritmo in grado di sintetizzare una marea di dati testuali, puoi chiedergli quello che vuoi e lui ti risponde, in qualche modo, estraendo cose più o meno sensate da questo amalgama di dati che si è fatto. Ecco, per addestrare questo algoritmo open AI ha consumato quasi 190.000 kWh, per il solo addestramento. Quindi il mio cervello 20 watt, la mia auto 10.000 watt per fare 30 km, per addestrare questo algoritmo, invece, ci hanno messo 190.000 kW che sarebbe l’equivalente di prendere un’auto e farla viaggiare velocissima fino alla Luna e ritorno. E sto parlando solo dell’addestramento. Poi tutti gli usi che vengono fatti di quell’algoritmo, magari, hanno un ordine di grandezza ulteriore di questo consumo. E poi ci sono tutte le varianti di questo algoritmo sparse in tutte le aziende”.

Questo dà un’idea di come l’Intelligenza Artificiale dal punto di vista energetico fagociti sostanzialmente le risorse energetiche. Ecco perché insieme al tema dati, al tema energetico e di produzione di CO2 è importante fare un ragionamento di tipo responsabile.

Si dice che l’Intelligenza Artificiale  amplifichi le nostre capacità di percepire e predire. Per quanto riguarda gli aspetti creativi o artistici possiamo dire che funziona allo stesso modo? 

“Questo è uno degli argomenti più affascinanti e suggestivi. Prima abbiamo parlato dell’Intelligenza Artificiale che aiuta a rendere le macchine meno antipatiche e più smart. 

Noi siamo circondati da tante cose, abbiamo visto tanti esempi interessanti, specie negli ultimi anni, di tante cose che hanno a che fare con la sigla “fake”: fake news, fake face, fake music, ecc. Nel corso degli anni gli algoritmi utilizzati sono diventati sempre più “indipendenti”, essendo in grado di generare essi stessi nuovi dati sintetici che addirittura non erano presenti in quelli di addestramento. Si tratta, quindi, di una “faccia sintetica” verosimile. È come se fosse una faccia vera, ma è completamente finta. Una notizia verosimile, ma completamente falsa perché generata. Si tratta di un processo creativo, come se in un universo fatto di pianeti e di stelle, qualcuno stesse lì a riempire i buchi neri con ulteriori idee: non riesci più a distinguere il falso dal vero. Anche questo è creatività, completamente diversa dall’idea di creatività che noi vediamo, per esempio, nel realizzare un quadro, un dipinto o una canzone. 

L’Intelligenza Artificiale sta cominciando a essere applicata su qualcosa che si trova esattamente nell’intersezione tra umanesimo e tecnologia, nel mondo dei creativi. Per quale ragione si è arrivati fin lì? Non stiamo parlando solo di un programma che aiuta ad automatizzare dei task di ritocco delle foto, aiutandoti a migliorare il tuo lavoro. Qui entriamo in una sorta di “Photoshop creativo”,  dove addirittura l’algoritmo è in grado di suggerirti delle nuove possibilità, dei nuovi spazi esplorativi e creativi da investigare. Tu parti da uno schizzo e poi lasci proseguire l’algoritmo che può inventare un soggetto e sintetizzare uno stile (dati tutti i quadri di Van Gogh l’algoritmo incamera quello stile). Quando fai il tuo dipinto puoi dire all’algoritmo “trasformalo in un Van Gogh”. 

Cos’è allora l’AI rispetto alle arti creative musicali, visive e altro? È un acceleratore della possibilità che l’uomo possa esplorare spazi, che, in alcuni casi, ci sono voluti secoli per scovare.

Qualche giorno fa ho visto un bel lavoro svolto dal Politecnico di Milano: hanno realizzato un’analisi sull’acustica, sulla curvatura e sullo spessore del legno che deve avere lo Stradivari. Hanno costruito degli algoritmi in grado di predire, dato un legno, data la composizione e la reattività di quel materiale, il giusto spessore dei vari elementi del piatto del violino, per fare in modo di replicare le frequenze naturali di quel particolare oggetto. L’artigiano per capire quale spessore dare a quel legno ci ha messo la sua maestria e anni di sperimentazione per arrivarci. In questo caso, per l’artigiano, l’AI rappresenta quasi una bacchetta magica per esplorare spazi ulteriori.

Per creatività  non intendo solo l’opera d’arte, ma anche l’arte applicata all’industria, al design del prodotto. C’è un bel sistema, per esempio, fatto da open AI che si chiama “Dalè” che è stato addestrato con foto le più disparate. In questo sistema tu immetti una query testuale e puoi chiedere semplicemente di disegnare anche una poltrona a forma di avocado. Questo sistema ti fa vedere tante varianti di poltrone che uniscono i due concetti di poltrona e avocado in tutte le forme possibili. Gli strumenti di Intelligenza Artificiale nelle mani di un creativo saranno come una una terza mano che permetterà di accedere più rapidamente a una quantità maggiore di elementi creativi a disposizione.

Rinnovare il metodo scientifico è veramente diventata la priorità di tutti noi che lavoriamo nel mondo tecnico, per cercare di combinarlo con aspetti umanistici. Il nostro metodo scientifico è andato avanti per secoli e secoli allo stesso modo, procedendo sempre nel solito ciclo: raccolgo dati, osservo e faccio ipotesi. Con l’AI abbiamo una sorta di generazione di ipotesi che può essere molto più rapida e vasta di quella che potremmo fare con il metodo classico.

Pensiamo alla pandemia Covid-19 e a quanto è successo nella farmaceutica, al concetto del riuso del farmaco per scopi diversi da quelli per cui è nato. È un esempio classico di riapplicazione e accelerazione del metodo scientifico. Per arrivare a un farmaco ci vogliono solitamente dieci anni. Poi arriva  Sars-Cov2. Come è fatto questo virus? Con cosa interagisce a livello biologico? Troviamo qualcosa nella nostra libreria tra tutte quelle che avevamo prima di inventarci una medicina nuova. Troviamo una medicina compatibile che in qualche modo interferisce con gli stessi “bersagli del Covid”. 

È quello che è stato fatto all’inizio della pandemia quando ci sono stati tanti modelli di simulazione, per capire se i vecchi farmaci che già usavamo per altre patologie potevano essere riusati in qualche misura come “candidati” ad affrontare la patologia. Questo è un esempio di creatività industriale”. 

AI e apprendimento: impariamo più rapidamente o impariamo più cose?

“C’è una doppia valenza. È l’uno e l’altro, nel senso che è sia larga sia alta. Ti permette di andare sia in altezza sia in ampiezza. Ovviamente noi adesso stiamo usando il termine Intelligenza Artificiale per una pluralità di concetti. Come dire, stiamo applicando l’intelligenza umana allo stesso modo dell’Intelligenza Artificiale. Dietro queste tecnologie ci sono decine e decine di anni di ricerca fatta da ricercatori, accademici, industriali. 

L’Intelligenza Artificiale quindi non è una cosa, ma è tantissime cose: ci aiuta ad andare più velocemente e a fare più cose.

In questo paniere andiamo a  trovare non solo algoritmi che vengono scritti da noi umani, ma anche algoritmi che sono generati per forza “bruta” partendo dai dati.  L’effetto che ci permette di andare più velocemente nell’apprendere conoscenze lo stiamo vedendo con i nostri figli: i programmi didattici e gli stimoli multimodali che i bambini hanno ricevuto anche durante il periodo Covid con la DAD, hanno permesso loro di acquisire più velocemente una quantità maggiore di concetti rispetto alle generazioni precedenti. In definitiva gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale ci permetteranno di fare ginnastica mentale e sempre di più ci consentono di ampliare le nostre conoscenze e i concetti da tenere a mente”.

Tu hai detto che vivi 10 anni avanti. Allora noi ti chiediamo: come vedi il mondo nei prossimi 10 anni? Il nostro futuro sarà più automatizzato? Come conviveremo con le macchine?

“Io vedo con gli occhi di 10 anni fa. Alla fine la nostra società è questa e resterà più o meno immutata. A livello microscopico non vedo grandi cambiamenti. In Giappone hanno cercato di formulare una prospettiva particolare per indirizzare l’intero sviluppo del Paese. Questo modello, lanciato nel 2017, si chiama “Società 5.0”. Secondo questa visione si tratta di una società  che pone al centro le persone, gli individui, le famiglie. Quindi l’essere umano e poi tutte le altre cose attorno. Tutto quello che ci circonda sarà “automatizzato”. Noi staremo lì. Anziché andare a cercare le informazioni, saranno le informazioni stesse, utilizzando gli stessi corrieri dell’online, a bussare alla nostra porta. Non saremo noi a cercare le informazioni, ma saranno le informazioni stesse a cercarci. Tutto ciò che ci circonda non solo sarà automatizzato, ma potrà essere reso proattivo per farci stare complessivamente bene. Io amo definire questo sistema come “sistema di intelligenza attiva” , nel senso che attivamente il sistema si fa carico – con opportune deleghe – di prendere decisioni per noi, addirittura perché tiene a cuore il nostro benessere. È un po’ come il GPS: quando entriamo in macchina entriamo in una logica alla quale oggi ci siamo anche un po’ assuefatti. Ci affidiamo al GPS, ci lasciamo guidare”. 

Qual è il confine e quali sono i rischi di tutto questo? 

Ritorniamo un po’ sulla questione della responsabilità dei sistemi computazionali. Questo avverrà: saremo circondati sempre più da cose autonome a cui noi delegheremo pezzettini della nostra vita, a livello aziendale e individuale. Nello stesso tempo dovremo avere sempre più sistemi industriali “robusti” anche da un punto di vista etico, affinché tu possa delegare. Proprio recentemente l’Unione Europea ha prodottoil primo draft di un framework regolamentare che ha l’obiettivo di fornire le indicazioni sul quale dovranno nascere le leggi, i regolamenti più opportuni e operativi per disciplinare l’uso dei sistemi di Intelligenza Artificiale. Quindi tra 10 anni io vedo quantomeno la traiettoria  molto simile a quella della società 5.0 dei giapponesi con dei sistemi di regolamentazione molto forti. Noi in Europa per quanto riguarda questo argomento siamo degli apripista. È un po’ come il traffico a inizio secolo. Se tu ci pensi bene, all’inizio del secolo scorso, quando sono state introdotte le automobili, le città di quegli anni erano estremamente popolate da macchine e persone che viaggiavano a destra e a sinistra senza regole e semafori. C’era una gran confusione che poi ha portato a una regolamentazione del traffico (semafori, strisce pedonali, cinture di sicurezza, ecc.) che aiuta a evitare che questa eccessiva delega verso le macchine diventi un boomerang che vada verso di noi”.

Non hai tempo di vedere o di leggere? Nessun problema, c’è la versione podcast dell’intervista a Pietro Leo!

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