10 anni di Synesthesia. Parliamo di gaming con Natasha Skult

Intervista

10 Novembre 2021

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Quanti aspetti della vita reale sono presenti in un videogioco? Due ambiti apparentemente distanti come il gaming e l’educazione possono operare insieme? Oggi parliamo di gamification con Natasha Skult, CEO e direttore creativo di MiTale.

Condice l’intervista Lucy James (Events Organiser in Synesthesia).

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[Guarda la versione completa dell’intervista – 29 min]

Natasha è stato davvero molto appassionante leggere la tua biografia online su tutte le diverse attività che hai fatto. Mi piacerebbe che ti descrivessi con parole tue. Cosa ti ha portato nel mondo dei videogiochi?

È una lunga storia in realtà, ma cercherò di essere breve. Non avrei mai pensato di lavorare nell’industria dei videogame. Sono sempre stata una gamer con un grande “cuore” nerd, appassionata di videogiochi fin da piccola grazie ai miei genitori. Loro, pur non essendo sviluppatori nè esperti di videogiochi o di tecnologia, erano appassionati del settore. Nella mia infanzia sono stata privilegiata, perché a casa avevamo i primi computer e quindi avevo a disposizione quasi tutto ciò che riguardava il mondo dei videogame, le console, modelli anche molto vecchi. I videogame facevano parte della mia quotidianità e costituivano una via di fuga dalla realtà. 

Molte persone non capivano come una ragazza potesse giocare con i videogame o essere una gamer. A quel tempo a Belgrado, in Serbia, non era “normale”, ma i miei genitori hanno sempre incoraggiato e supportato me e mia sorella a utilizzare tutti gli strumenti tecnologici. Era diventata una “cosa di famiglia”, il mio hobby e la mia passione, ma non avevo mai sognato di lavorare nel mondo dei videogame, non l’avevo mai pianificato, ma sono molto felice che sia successo. 

Mi sembra di ricordare che hai una formazione in arti classiche, giusto?

Sì, ho studiato “Tecniche di pittura tradizionale” presso l’Università d’Arte di Belgrado, poi ho fatto il Master in “Tecniche della pittura romana classica” dove ho approfondito gli studi su affreschi, mosaici, graffiti e molte altre opere stupende. Oltre a essere un’appassionata d’arte, ero anche appassionata di tecnologie digitali e design grafico. Un aspetto che mi ha sempre incuriosito molto è il visual storytelling. Specialmente ora, grazie all’utilizzo dei videogiochi come strumento interattivo, ci sono molte più occasioni di impiego per lo storytelling. 

È fantastico, sto cominciando a concepire lo sviluppo dei videogame come una forma d’arte più che un “esercizio” di tecnologia. Dato che tu hai detto proprio questo sullo storytelling. Pensavo all’ispirazione che c’è dietro ai giochi e al loro sviluppo. Quanti aspetti della vita reale “entrano” nei videogiochi che tu sviluppi? 

Direi quasi tutti. Quando si pensa a una qualsiasi forma d’arte, essa è connessa al suo tempo, a momenti o persone: è tutta una questione di esperienza. I videogiochi, però, non sono solo esperienze “statiche”: nella maggior parte delle forme comunicative (libri e film) lo spettatore assiste a un monologo del creatore. 

Nei videogiochi c’è un dialogo tra colui che realizza il gioco e il giocatore. Il videogioco diventa un mezzo di comunicazione e una forma d’arte che è in grado di costruire legami emozionali più forti con gli utenti. L’unica sensazione su cui possiamo davvero fare affidamento è la nostra esperienza personale. È tutto una questione di percezione del momento. Il giocatore percepirà il gioco diversamente tra 20 anni, esattamente come accade per noi oggi rispetto ai videogiochi di 20 anni fa e questo vale per qualsiasi forma d’arte. Essa è parte del suo tempo e si tratta di comprendere a che punto siamo nel comunicarla. 

Per gli appassionati di videogame, posso dirlo per esperienza personale, è davvero difficile dire “ho un videogioco preferito”. Io per esempio non ho neanche 10 videogiochi preferiti, ma migliaia e migliaia perché dipende davvero dal mood del momento e da che cosa hai voglia per giocare. 

Ci sono giorni in cui vorrei solo sparare a tutto, altri in cui voglio essere un detective o fare puzzle. È come quando guardi Netflix: ci sono giorni in cui vuoi “spegnere il cervello” e guardare qualcosa di rilassante per riposare completamente la testa. Ci sono altri giorni in cui vuoi vedere qualcosa di realmente impegnativo. Lo stesso discorso vale per i videogame, dipende dal tuo stato d’animo, così come accade anche per l’arte: dipende da come ricevi il messaggio, dove ti trovi e come stai quando lo ricevi.

Questa è la bellezza dei videogame: avere più opzioni. Quando si tratta di giocare, diversamente da quanto accade di fronte a un’opera d’arte dove semplicemente si riceve il messaggio dall’artista, diventi un membro attivo. Hai l’illusione della scelta mentre giochi, perché in realtà noi sviluppatori progettiamo ogni cosa con grande attenzione e sappiamo in anticipo cosa accadrà. Ma questo il giocatore non lo sa. L’utente va alla scoperta dell’avventura e si sente “potente”, anche se in verità non c’è alcuna scelta. 

L’interattività fa sì che l’illusione di raggiungere qualsiasi cosa con la fantasia renda tutto realistico. Per fare qualche esempio: pensiamo alla possibilità di trasformarci in guerrieri spaziali, domatori notturni di draghi, soccorritori di principesse o semplicemente collezionisti di  gettoni d’oro. Qualsiasi cosa tu voglia fare, i giochi ti offrono l’opportunità di “dar vita” davvero alla fantasia.

Noi sviluppatori creiamo per i giocatori questi mondi da scoprire. Ma è un’illusione, perché è tutto predeterminato nella produzione del gioco. 

Quando parli di “illusione della scelta” mi fai pensare ad alcuni psicologi che affermano che i giochi riflettono molto fedelmente la vita. 

La società si sta sviluppando su tutti i livelli e questo è un aspetto che rientra anche nei videogiochi. Ci sono molte teorie sull’insegnamento. Quando pensi ai bambini, per esempio, per loro imparare consiste nell’imitare gli adulti. Le bambine organizzavano il the con le amiche e si prendevano cura delle bambole perché si preparavano a diventare madri; mentre i bambini giocavano con le macchinine. Ma adesso non funziona più così, a mia figlia, per esempio, piace la robotica. Al giorno d’oggi ci sono donne che costruiscono robot e uomini che cucinano ed è giusto che sia così. Questa è sicuramente la bellezza che caratterizza i videogiochi: garantiscono un ambiente sicuro in cui provare diverse esperienze. E questo “ambiente” sicuro lo crei applicando le tecnologie dei videogiochi nell’ambito dell’educazione, dell’assistenza sanitaria, o a qualsiasi altro settore.

Attraverso i videogiochi, poi, le persone imparano anche ad affrontare il fallimento. Una delle cose, infatti, per cui i videogiochi sono sempre stati insuperabili è l’insegnamento. La parte più interessante, specialmente a livello psicologico, è che il giocatore anche quando fallisce nella missione vuole riprovare e vincere la sfida per raggiungere un punteggio migliore. C’è proprio una motivazione di fondo e giocare ci permette di conoscere cosa ci motiva di più, cosa ci spinge a fare sempre meglio. 

E poi c’è l’aspetto commerciale dello sviluppo dei videogiochi, sul quale credo che dovremmo concentrarci quando realizziamo soluzioni di gamification. In qualità di insegnante posso confermare che i docenti si concentrano sul CV, sull’apprendimento degli studenti, ma in generale un insegnante non gioca, non è un game designer. 

Chiedere, quindi, a un docente di elaborare soluzioni di gamification nel proprio ambito è sbagliato, non è il suo lavoro.

E così, per questo motivo, in passato abbiamo assistito a numerose soluzioni di gamification che hanno riscosso scarso successo. L’unico modo per realizzare soluzioni efficaci è coinvolgere esperti nell’ambito di interesse. Questo vuol dire che docenti e game designer trovano insieme le soluzioni nell’interesse dell’utente finale, cioè lo studente. Questo metodo di lavoro è molto più complesso rispetto a scrivere semplicemente un codice, ma quello non è creare gamification. Devi pensare a come utilizzare la tecnologia e il design per un coinvolgimento emozionale dell’utente finale.

Dobbiamo integrare e collaborare con i professionisti di altri ambiti a seconda delle necessità. In questo senso la collaborazione e l’ascolto sono essenziali. 

“Digitalizzare una cosa” non la rende automaticamente un’esperienza digitale. Abbiamo parlato di come la vita reale incide sullo sviluppo dei videogiochi. Secondo te, considerato anche l’anno che abbiamo passato con la pandemia, quanto tutto questo ha influenzato il tuo settore? Hai visto dei cambiamenti nel tuo lavoro?

Innanzitutto è necessario dire che noi sviluppatori di videogames siamo sparsi in tutto il mondo, per cui siamo abituati a collaborare a livello internazionale e soprattutto a distanza. Per cui la pandemia non ha modificato il nostro modo di lavorare.

In secondo luogo, abbiamo assistito al boom di crescita più forte di sempre nel settore dei giochi. Nel momento in cui le persone sono rimaste a casa, infatti, hanno cominciato a giocare ancora di più rispetto a prima.  

La pandemia ha stravolto ogni equilibrio di mercato e ha messo in evidenza alcune esigenze che prima erano assolutamente imprevedibili. 

E così è cambiato l’approccio con i videogiochi e con le tecnologie di gaming. Si è capito che non si trattava solo di intrattenimento. Molti genitori sono sempre stati preoccupati che i propri figli passassero troppo tempo davanti a uno schermo. Anche quando ero piccola io, i miei genitori venivano criticati dai propri amici a causa del tempo che mi lasciavano passare a giocare davanti allo schermo. 

Quindi la questione è che oggi i videogiochi sono molto popolari e costituiscono uno strumento per socializzare. 

Per quanto riguarda il tempo passato davanti allo schermo, i bambini troveranno sempre un modo per passare questo tempo, che ci piaccia o no; non puoi davvero evitare loro gli smartphone e qualunque altro dispositivo per restare in contatto con gli amici. 

Possiamo invece concentrarci sulla qualità del contenuto anzichè proibire l’utilizzo dei dispositivi. Quindi, invece, di creare un “frutto proibito” è meglio avere a disposizione contenuti di qualità, realizzati da sviluppatori esperti in collaborazione con professionisti del settore, specialmente per l’ambito educativo. 

Credo che cambierà molto la percezione delle persone riguardo a dove sia realmente il problema. Prima dei telefoni cellulari c’erano i fumetti, che costituivano una distrazione: ma tutto faceva parte della normale evoluzione. 

Sono completamente d’accordo: è il contenuto che conta. Tornando a parlare di educazione, potresti farci qualche esempio in questo ambito? Gaming ed educazione per le future generazioni: come possono operare insieme? 

Se parliamo della tecnologia dei videogiochi impiegata per realizzare soluzioni e strumenti di gamification, stiamo prendendo in considerazione solo un altro strumento. Quando si parla di educazione non ci sarà mai niente che potrà sostituire integralmente insegnanti, medici o qualunque altro esperto in un settore. Qualsiasi tipo di strumento, che sia utilizzato per i loro bisogni o per raggiungere un obiettivo, dev’essere pensato per aiutarli nel loro intento.

Che siano persone, studenti o clienti, dipende dal tipo di materiale educativo e di gaming di cui parliamo.

È una cosa che sta emergendo di nuovo e le tecnologie del gaming possono dare molti spunti. Si tratta di consentire alle persone di raggiungere davvero il modo migliore per apprendere e interagire con i contenuti in base alle proprie esigenze e capacità personali. Il fatto è che tutti noi, specialmente quando parliamo di apprendimento, impariamo, ci approcciamo e riceviamo quella stessa informazione in modo diverso.  Soprattutto con l’apprendimento, perché ognuno di noi ha un metodo diverso per memorizzare le informazioni. Qualcuno è più bravo a fare cose manuali, qualcuno si ricorda meglio le cose leggendo e altri semplicemente ascoltando. 

Quindi attraverso la tecnologia del gaming, ogni individuo può utilizzare effettivamente quel contenuto in modo che sia accessibile e si adatti a risolvere le proprie esigenze specifiche. E abbiamo visto che soprattutto gli strumenti sanitari e terapeutici influiscono sull’apprendimento e sulla sanità, sui progressi della terapia. Il curriculum tradizionale di insegnamento dovrebbe essere uguale e obiettivo per tutti, ma siamo tutti diversi ed è per questo che non funziona molto bene. Ciò si nota soprattutto con gli studenti: io, per esempio, ricordo di aver avuto bisogno di molti giorni di studio per entrare all’Accademia di Stato dove avrei trovato molta concorrenza. Per raggiungere quello che volevo avrei dovuto impegnarmi molto, studiare molto e, quindi, ho sfidato me stessa per raggiungere i miei obiettivi. 

Tutti dovrebbero cercare di dare il meglio di sé e in questo la tecnologia e i videogame ti permettono di capire di cosa hai davvero bisogno. 

Ecco, quindi, che si comprende l’evoluzione dell’ambito educativo. Qui in Finlandia il sistema è molto all’avanguardia: educatori e insegnanti hanno una mentalità molto aperta e sono disponibili a collaborare con professionisti di diversi settori. Questa co-creazione realizzata da sviluppatori e insegnanti è all’ordine del giorno. Qui le persone, compresi gli studenti, non hanno paura di sperimentare nuove strade.

Questo è uno dei motivi per cui la Finlandia è al primo posto nell’ambito educativo , perché non ha paura di sperimentare. Non c’è timore di scoprire qualcosa di nuovo che possa aiutare gli insegnanti stessi a lavorare meglio. In molti altri paesi, anche europei, non è proprio la stessa cosa. Si tratta, quindi, di un’evoluzione lenta e la pandemia non ha fatto altro che mostrare la necessità di questo cambiamento di mentalità.

Un ambiente dove la passione, gli interessi e le qualità del singolo individuo sono valorizzate è molto più sano e salutare rispetto a una realtà dove la cultura e il sapere sono fini a sé stessi. Come può il gaming supportare questo cambiamento? Come vedi il futuro nei prossimi 10 anni? 

Se avessi davvero queste risposte, probabilmente le avrei già vendute e avrei guadagnato parecchio. Chiunque dica di averle, in realtà, in mente.

Credo che ilfuturo si basi sul sostenere gli individui, i loro bisogni e interessi. In questa stessa direzione penso vadano anche le tecnologie del gaming. Le nostre vite, in fondo, sono già “gamificate”. 

Pensiamo alle tecnologie che stiamo utilizzando per realizzare questa intervista: è tutto parte di una soluzione di gaming. Per non parlare poi dei social media che costituiscono un grande esempio di gamification con il meccanismo dei like, dei follower, ecc.

Vedo un futuro dove gli sviluppatori saranno sempre più necessari per trovare il giusto modo di creare e progettare esperienze insieme a professionisti di diversi settori.

Il gaming perderà quello “stigma” che lo lega solo al contesto dell’intrattenimento e diventerà una tecnologia sempre più utilizzata per andare incontro ai bisogni e agli interessi delle persone.

Diventerà un modo per sperimentare le proprie abilità e disabilità. Per scoprire i punti di forza e di debolezza che tutti abbiamo e che ci rendono unici. Credo, quindi, che la tecnologia del gaming metterà in evidenza la nostra unicità, andando incontro ai nostri bisogni.

Non hai tempo di vedere o di leggere? Nessun problema, c’è la versione podcast dell’intervista a Natasha Skult!

Ascolta “Gaming / Natasha Skult [Novembre 2021]” su Spreaker.

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