Il mese dedicato al tema “people and inclusion” continua con il grande Walter Rolfo (CEO di Masters of Magic, autore televisivo e Ingegnere della felicità). Con lui parleremo di sfide, di come trasformare l’impossibile in possibile con la magia dei sogni e della determinazione, di quanto sia importante l’inclusione per la produttività di un’azienda e ovviamente di futuro.
Conduce l’intervista Riccardo Recalchi (CEO di Synesthesia)
[Guarda la versione completa dell’intervista – 26 min]
Mago, illusionista, autore e conduttore televisivo, scrittore, formatore, ingegnere e consulente. Walter, ti andrebbe di raccontarci qual è il minimo comun denominatore tra queste professioni che hai svolto e svolgi nella tua vita?
“Tutto nasce da bambino. Ho iniziato a fare il mago, ma continuo a essere “lucidamente schizofrenico” perché sono nato mago e mi sono evoluto – “involuto” ingegnere. Quindi vivo un po’ confuso, con la bacchetta magica nella mano destra, con la quale inseguo i sogni e un foglio Excel nella mano sinistra, con i quali cerco di realizzarli. Mentre i miei amici giocavano, si divertivano e correvano all’aria aperta, io mi chiudevo in camera, affinché nessuno mi spiasse, per cercare di trovare il segreto per far sparire la moneta nella mia mano.
Passarono i giorni, le settimane, i mesi e se li conti anche i minuti finché a un certo punto la moneta sparì. Il dono più grande che ho ottenuto non è stato il trucco per far sparire la moneta, ma l’insegnamento che, se insisti e non ti arrendi mai, puoi realizzare l’impossibile. Ecco, questo è il dono più grande che mi abbia fatto la magia e credo sia il filo conduttore di tutto quello che ho fatto perché da quel momento in poi ho inseguito mille vite. Sono andato in america a fare Mago in un casinò, poi sono tornato in Italia e ho iniziato a lavorare in televisione e sono diventato Capo Progetto /autore in RAI.
A unire tutto è stata dunque questa convinzione. La vera difficoltà è capire dove andare, ma poi il metodo si troverà sempre. Se dovessi dare un consiglio, quindi, vi direi: capite prima dove andare. Se avete un impegno profondo con voi stessi e con gli altri dichiaratelo, perché se lo dichiari poi per coerenza cerchi anche di raggiungerlo.
L’impossibile non esiste, ma è fondamentalmente un limite della nostra mente”.
Più volte tu stesso hai affermato che “devi uccidere delle parti di te per costruirne altre”. Come riesci a fare questo? Quando capisci che è arrivato il momento giusto per dar spazio a nuove forme di te stesso? Che cosa succede in quel momento?
“Io credo che si debba prendere coscienza che c’è un’età per tutto. Molte volte noi cerchiamo di rubare anni alla vita e non ci rendiamo conto che, invece, ogni età ha un modo di essere, un modo di fare, un lavoro, una famiglia, delle persone con cui vivere e non c’è niente di sbagliato nel vivere al meglio quello che hai come occasione in quel momento.
Devi renderti conto che magari non tutto può essere per sempre. Ho iniziato a fare il mago da piccolo e quando poi sono diventato capo progetto in RAI, il direttore di RAI 2 mi disse: “Rolfo, adesso devi prendere una decisione, perchè già la gente crede poco ai giornalisti se fanno pure i maghi non ci crede nessuno”.
Lì ho “appeso le carte al chiodo”, perchè c’è un’età per tutto e mi sono reso conto che se a 40 anni avessi fatto il mago come facevo da bambino sarei stato un dissociato. Il problema è vivere un’età che non ti appartiene più. Aver coraggio di cambiare ha una valenza in tutto. Scherzando dico che ho ucciso il mago per poi nascere ingegnere, formatore, conduttore, fondatore di Masters of Magic.
Nella vita personale bisogna avere il coraggio di uccidere il bambino o il ragazzo che c’è in ognuno di noi per diventare uomo, perchè devi prenderti delle responsabilità. Devi avere il coraggio di uccidere rami di business per intraprenderne di nuovi, perché se non prendi tu questa decisione sarà la vita a prenderla per te.
Quando sei al massimo di quello che stai vivendo devi capire che è arrivato il momento di saltare. Se non vivi nel futuro, alla fine il futuro ti riporta con i piedi per terra.
Si chiama “Sindrome del Concorde”. Le cifre che vi dico non sono vere, ma sono solamente degli esempi. Il progetto del Concorde è stato il frutto di una co-produzione franco-britannica. Si trattava di un aereo bellissimo che doveva andare più veloce del suono. Furono spesi 100 milioni di sterline per realizzarlo. Quando è stato costruito si resero conto che faceva troppo rumore e quindi spaccava tutti i vetri delle case vicine agli aeroporti. Allora si pensò di riprogettare i motori con un ulteriore costo di 50 milioni di sterline. Avendone già spesi 100 si decise di andare avanti per un totale di 150 milioni. Dopo aver costruito i nuovi motori si resero conto che il costo per volare era troppo elevato.
L’aereo, essendo stato progettato per avere un numero limitato di posti a bordo, non garantiva un rientro delle spese. Occorreva quindi aggiungere nuovi posti, ma questo comportava la riprogettazione di tutto l’aereo. Ci volevano altri 50 milioni. E poi i freni non andavano bene, ci volevano piste più lunghe. In sintesi, alla fine di tutto fu speso il 400% dell’investimento iniziale fino a quando il Concorde precipitò tragicamente. Ecco, se avessero il coraggio di buttare via i primi 100 milioni non avrebbero speso il 400% in più e avrebbero salvato delle vite.
Molte volte nella vita ci incaponiamo in processi, in attività, in relazioni che sono palesemente fallimentari perché non abbiamo il coraggio di cambiare e di perdere”.
Per noi in Synesthesia i temi dell’inclusione e della centralità delle “persone” costituiscono i pilastri del contesto lavorativo. Secondo te, quanto è importante questo tema nelle realtà aziendali di oggi? Come definiresti la situazione attuale in Italia?
Da ingegnere parto dai numeri. Le aziende che sono realmente inclusive, hanno un fatturato maggiore del 16% rispetto ad aziende simili. L’80% delle persone in Italia è più propensa ad acquistare prodotti di aziende realmente inclusive. Quindi vuol dire che solo 1 su 5 in Italia è insensibile al concetto di inclusività. Dal punto di vista delle performance è oggettivo che essere inclusivi sia un vantaggio. Dal punto di vista delle persone c’è un clima aziendale migliore, attiri di più i talenti. C’è una maggiore proliferazione di idee perché c’è una maggiore creatività.
È oggettivamente un vantaggio essere un’azienda inclusiva. Questo è importante perché se poni delle basi importanti sui numeri è possibile costruire tutto il resto. In realtà, credo che oggi:
per essere un’azienda migliore non si debbano solamente realizzare performance migliori. Ciò che fa la differenza sono le persone da cui essa è formata. Un’azienda è migliore perché è formata da persone migliori.
Le persone migliori sono quelle persone che trattano meglio il cliente, che hanno cura delle altre persone con cui lavorano, che se devono fare una notte in più per creare un progetto che possa essere utile lo fanno volentieri.
C’è una frase molto carina di Groucho Marx che dice: “io non farei mai parte di un circolo che accettasse uno come me tra i soci”. Vuol dire che in questo circolo, che è quello delle persone inclusive, non entrano le persone che in qualche modo non sono inclusive. È un automiglioramento.
Per quanto riguarda l’Italia, è una Nazione con mille sfaccettature e mille variabili. È ovvio che se vai in grandi città e grandi metropoli, dove hai grandi aziende multinazionali con un’attenzione particolare alle persone in quanto tali, è più facile trovare un ambiente maggiormente inclusivo con una migliore gestione delle persone.
L’inclusività ha mille sfaccettature e non è soltanto di razza e di genere, ma è anche, per esempio, accettare che un papà abbia del tempo per curare i figli. Noi banalizziamo un po’ questa idea, pensando solo alla razza e al genere, ma l’inclusione è accettare anche una persona che in quel momento magari non è tanto felice e ha bisogno di un’attenzione in più. L’inclusione è qualcosa di molto più profondo di quanto i media in questo momento stanno raccontando”.
Dare forma alle proprie aspirazioni è un po’ come trasformare l’impossibile in qualcosa di possibile. A tuo avviso “è possibile” pensare a un futuro più inclusivo che valorizzi maggiormente le differenze culturali e di genere?
Credo di sì e credo che sia una “valanga” ormai iniziata, con velocità diverse e non si possa – né sia giusto – fermare. Credo che sia un bisogno. Vedendo le nuove generazioni, ti rendi conto che sia già qualcosa che appartiene a loro più di quanto appartenga a noi. Questo è dato anche dal fatto di avere background diversi. Ho amici che hanno figli e mi dicono che a scuola non c’è più differenza di niente. È tutto molto più libero e meno male che sia così.
Uno dei punti di svolta fondamentali per quanto riguarda il concetto di inclusione fu la scoperta della Luna. Quando l’uomo è arrivato sulla Luna sono cambiate tre cose: una è il concetto di impossibile, perchè prima una simile impresa sembrava impossibile. Da quando Armstrong posò il primo piede sulla Luna nel 1969 si radicò il concetto che nulla fosse impossibile e quindi la differenza si è espressa anche nel modo di parlare. Non si dice più “è impossibile”, ma si dice quando si farà? Nessuno ha il dubbio che andremo su Marte è solo una questione di quando. Nessun ha il dubbio che ci saranno delle nuove tecnologie che cambieranno totalmente il nostro modo di vivere.
Il secondo grande cambiamento riguarda la sostenibilità perché ci si è resi conto che per quanto a noi sembri grande il nostro pianeta, in realtà è un piccolo pallino perso nell’infinito. Per Armstrong la Terra era comeuna barca in mezzo all’oceano, circondata dalle acque dove nessuno può scendere né salire, dove non ci sono altre risorse da prendere e non ci sono risorse da buttare. Tutto quello che c’è è lì e questa è la Terra. Da quel momento in poi sono nati i movimenti ambientalisti in Australia. Abbiamo capito che dovevamo iniziare a far fortuna con quello che avevamo.
Il terzo cambiamento riguarda di più le persone. In quegli anni sui pullman c’erano ancora le zone per persone di colore e per i bianchi. Siamo stati così bravi da andare sulla Luna e, in quegli anni, c’erano ancora delle scuole dove c’erano queste divisioni. Ma cosa siamo veramente? Da lì è poi partita la grande rivoluzione che ha portato Obama, dopo 40 anni, alla presidenza degli Stati Uniti.
Si tratta quindi di una valanga che è partita. I giovani sono parte di questa valanga e la guidano. Questa è una grande fortuna e una speranza per il futuro e se non riusciremo noi che siamo più adulti a fare dell’inclusività, della condivisione, dell’accettare le persone il nostro mantra, avremo sprecato tanta vita e tante battaglie”.
Che cosa manca, a tuo avviso, nella aziende e nella società per evolvere dal punto di vista sociale e culturale?
“Molte aziende fanno “inclusion washing”. Fa “cool” dire che siamo inclusivi, dire che per noi è tutto uguale. Poi, però, non c’è la convinzione profonda di farlo perché non è solo dirlo, ma va poi anche messo in atto con la formazione, con l’atteggiamento, con premi che valorizzino chi realmente lavora nell’inclusione. Ci vuole la convinzione profonda che vada fatto ed evitare l’inclusion washing. Ci vogliono capi, leader che abbiano veramente a cuore l’idea di portare nella propria azienda il credo dell’inclusività. È necessario ascoltare ciò che viene dal basso, dalla base, perché soprattutto i giovani neoassunti saranno un volano importante. Per restare in tema, vi consiglio di vedere il film “Il diritto di contare”, candidato al premio Oscar, con Kevin Costner. Il film racconta la storia vera di Catherine Johnson, la prima donna di colore a entrare in un team della NASA, dove erano tutti uomini e bianchi. È stata trattata malissimo, ghettizzata. Il film racconta che per andare in bagno la Johnson doveva fare un chilometro perché non c’erano bagni per lei nelle vicinanze. Pensa com’è cambiato il mondo e come vivevamo male prima.
C’è una bella scena del film che ci mostra la volontà da parte del capo, interpretato da Kevin Costner, di battersi per una maggiore integrazione abbattendo il cartello con una spranga dove c’era scritto “bagni solo per bianchi”. Quindi ci vogliono convinzioni profonde, ci vuole la volontà di farlo e ci vogliono capi, manager che non lo dicano soltanto, ma credano profondamente che l’inclusione sia importante e che soprattutto abbiano le orecchie aperte perché dalla base, dai giovani, da chi in qualche modo lavora con te, vengono segnali importanti che vanno ascoltati se vuoi veramente cambiare le cose”.
Al TEDx di Trastevere hai detto che “per realizzare l’impossibile bisogna pensare come un mago”. Come ragiona un mago davanti a una simile sfida?
Noi tutti pensiamo che un mago sia un problem solver, uno che risolve problemi impossibili. Un mago, invece, è qualcosa di più perché il fatto che risolva problemi è scontato, ma in realtà un mago è un problem setter: cioè “setta” dei problemi che sembrano impossibili e quindi lui deve prevedere già la soluzione nel preparare il problema. Il prestigiatore crea, dunque, delle premesse false che generano dei problemi apparentemente impossibili. Se io metto una moneta nella mano, la moneta non può sparire. Dov’è la falsa premessa? Che probabilmente la moneta non è nella mano. Oppure che la moneta non sia una moneta, magari la moneta è di ghiaccio e si scioglie. Ma se io ti radico la convinzione che io abbia una moneta vera nella mano in questo istante, ovviamente non può sparire. La falsa premessa quindi ti porta a un problema apparentemente impossibile. Sono tutte false premesse che tu ti dai e, come nel concetto di magia, generano problemi apparentemente impossibili.
Quindi per realizzare l’impossibile devi operare sulle premesse. Le premesse sbagliate sono quelle che mutano il ragionamento. Nel nostro caso quindi per avere aziende più inclusive vanno cambiate le premesse.
Attualmente le premesse con le quali viene veicolato questo discorso sono: se tu non sei inclusivo va molto male. Nel cambiare le premesse tu non devi dire che è male non essere inclusivi, ma devi dimostrare i grandi vantaggi dell’essere inclusivi.
Raccontando questi vantaggi le persone sono più portate a cambiare le premesse. Se io vedo un vantaggio concreto, reale, ovviamente sono più portato ad andare verso quella strada. E quindi visto che alla fine le persone sono motivate da degli obiettivi da raggiungere, da dei vantaggi da ottenere, da delle mete da conquistare, allora diamo degli obiettivi.
Non diciamo solo che è male e sei una brutta persona se non sei inclusivo, diciamo piuttosto perchè sei speciale se invece hai il coraggio di essere inclusivo.
Walter, quali sono gli insegnamenti che ti piacerebbe lasciare alle future generazioni?
“Io credo che l’insegnamento più importante sia aiutare le persone a trovare un sogno. Non esistono sogni giusti e sogni sbagliati. Esistono persone che hanno sogni e persone che non hanno sogni e il vero motivo per cui le persone non realizzano i propri sogni è perché non ne hanno. Ogni volta che io chiedo a qualcuno quali sono i suoi sogni, il 90% delle persone mi risponde con indecisione. Man mano che si cresce si ha sempre meno contezza che si possano realizzare i sogni. Quindi sia per le future sia per le passate generazioni il mio consiglio è createvi sogni continuamente, ispirate sogni nelle persone che amate, regalate sogni alle persone perchè in tantissimi non sono in grado di trovare un proprio sogno. Io poi, da ingegnere, amo chiamare i progetti sogni perché non mi alzerei mai al mattino per realizzare un progetto, ma mi alzo volentieri per inseguire un sogno. Quindi da ingegnere non parlo di sogni come se fossero la manna dal cielo o la pioggia che scende e ti bacia, oppure l’energia che ti guida alla conquista di chissà cosa. No. Io parlo di cose concrete. Createvi dei progetti e una volta trovato un progetto, trovate il modo di realizzarlo. Questa è per me la più grande lezione: trovare qualcosa che ci faccia battere il cuore. Come fare? Scrivete su un foglio mille sogni. Scrivete qualunque cosa, anche la più folle e poi seguite quella che vi accende di più. Questo è il primo grande consiglio che mi permetto di lasciare. La seconda cosa è “martellare come dei fabbri”, cioè il vero segreto per realizzare i propri sogni è non arrendersi mai. La vita è semplice. Va giù e va su per tutti. Non esiste un’unica e costante ascesa verticale verso il successo. Diamo valore ai picchi e facciamo che le valli siano più piatte possibili. La vita deve essere una sinusoide alla quale noi tagliamo la parte bassa. Io mi sono reso conto che tutto quello che ho fatto nella vita, piccolo o grande che sia, deriva da un “martellamento”, del non mollare mai. Quando la vita ti butta giù il segreto è insistere. C’è sempre un modo di realizzare questo sogno. Anche se non lo realizzi, sarai stato sulla strada che porta alla felicità”.
Walter, come ti immagini il futuro nei prossimi 10 anni?
“Sono un ottimista pazzesco. Penso al futuro come un posto meraviglioso.
Sarà casa. Sarà il posto dove stiamo andando. È come se noi stessimo facendo un viaggio verso un luogo dove dovremmo stare. Mi piace pensare che questo luogo debba essere bello. Mi piace pensare che sia un luogo che io contribuisco a creare bello. Sarà il posto dove io vivrò e devo trovare dentro questo tutti i motivi per vivere al meglio.
Il futuro non torna mai indietro, questo è importante. Non siamo mai tornati indietro. Non è mai successo che una volta inventata la macchina siamo tornati a utilizzare la carrozza. Quando è stato inventato l’MP3, non abbiamo più utilizzato la cassetta. Pensare che se il futuro non ci piaccia si possa tornare avanti e indietro è anacronistico, folle e anche stupido. Quindi, noi andremo nel futuro. Ci stiamo andando. Immagino il futuro come un treno che viaggia veloce e tu non puoi scendere a meno che tu non ti faccia molto male. Quindi puoi o starci in piedi scomodo oppure sederti e goderti questo viaggio. Secondo il Financial Times, noi faremo un salto in avanti nei prossimi 10 anni, dal punto di vista della tecnologia, più grande rispetto a quello che è stato fatto dalla prima rivoluzione industriale fino a oggi. Perciò, dal punto di vista del nostro modo di vivere dobbiamo essere pronti a cambiare, godere del fatto che stiamo vivendo in un’epoca straordinaria e piena di sorprese. Non dire “questa cosa mi spaventa” perché non c’è più tempo, non è più un futuro è un adattamento continuo. C’è un aneddoto bello raccontato da McLuhan, il più grande massmediologo del secolo scorso che racconta di due giovani pesciolini che nuotano. A un certo punto si avvicina un pesce più grande che si rivolge a loro chiedendo come fosse l’acqua dentro la quale nuotavano. I due pesciolini stupiti non avevano più la percezione del contesto. Chi è giovane non ha la percezione che le cose cambino. Anche perché va tutto così veloce. Il futuro va veloce e per me è un posto meraviglioso. Per noi che dobbiamo andarci, ritengo che per quanto dobbiamo avere a che fare con l’intelligenza artificiale non sarà un sostituirsi all’uomo, ma un collaborare con l’uomo. Le emozioni saranno quanto mai importanti perché in un futuro, tutto quello che non farà battere il cuore ai nostri clienti o alle persone con le quali collaboriamo sarà una commodity e le commodity si comprano su Amazon. Quindi,
qualunque lavoro voi facciate, qualunque sia la vostra vita, la vostra attività, chiedetevi che cosa potete fare voi oggi che non potrà fare una macchina domani, in questa risposta c’è il nostro futuro”.
Walter grazie, grazie per aver partecipato a questa nostra festa!
Grazie a te, grazie a voi. È stato un piacere essere qui a parlare di futuro, di persone e di impossibile.
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